Una piccola riflessione su Invasioni 2013
Non
ringrazierò mai abbastanza Franco Dionesalvi e Luca Ardenti per
avermi coinvolto in quel “manipolo di sognatori” che ha dato vita
a quella rivoluzione culturale che è stata per Cosenza, la “Festa
delle Invasioni”. Mesi e mesi di lavoro praticamente gratuito,
scambi di idee e conoscenze, insieme a Dino Grazioso, Ivo Miraglia,
Michele Cozza, i ragazzi della cooperativa omonima e i dirigenti
comunali che dovevano dare corpo alle nostre visioni. Ne parlo al
passato, perché credo che da molti anni dello spirito originario sia
rimasto poco o nulla, nonostante la reiterazione di una formula che è
stata anche imitata in più occasioni. Leggendo i resoconti della
presentazione dell’edizione 2013 scopro dalle dichiarazioni del
sindaco Mario Occhiuto che “Invasioni”
diventa un “brand”
sul quale <<costruire
il nostro modello di città attraente, che realizza buone prassi di
coesione sociale e culturale>>.
Intenti nobili ma di non facile realizzazione, visto come lo spirito
originario e “originale” della Festa, si sia perso oramai in
maniera irreversibile. Scorrendo il programma di quest’anno mi
chiedo dove sia andato a finire lo spirito di ricerca e promozione
culturale che ha rappresentato la chiave del successo delle prime
edizioni. Soprattutto dove è stata smarrita la caratteristica
principale di “invasione” della città? E’ rimasta sepolta
forse insieme alle idee in qualche stanza dismessa della Casa delle
Culture? Non era forse quella la caratteristica principale, realmente
innovativa che meravigliava e rapiva i cosentini, ancor prima della
spettacolarità degli eventi? Trasformare i non luoghi della città
in scenari per spettacoli di musica, teatro e poesia, con i convegni
portati tra la gente e non viceversa. I poeti negli uffici pubblici,
la musica classica e jazz agli angoli delle strade, il rock e non
solo tra i rottami degli sfascia carrozze o nei mattonifici in
disuso, era sì segno di una reale invasione culturale che non può
certo essere sostituita dai Temporary Store tanto cari all’assessore
Succurro. Ma più di ogni altra cosa, per quello che può essere il
mio specifico campo d’interesse: quello che è invecchiato
precocemente e malamente è l’aspetto musicale della Festa. Si
resta ancorati a modelli ormai obsoleti del folk revival di matrice
nazionale ed internazionale senza alcuna “apertura”
all’attualità, perdendo così ogni appeal attrattivo verso un
pubblico che potrebbe giungere da altre regioni e scoprire la
bellezza della nostra città. Basterebbe guardare a quanto fanno ad
esempio, in un piccolo paese della Sicilia, Castelbuono ed il suo
Ypsigrock festival, e chiedere quanti cosentini ogni anno varcano lo
stretto per non perdersi un festival che guarda al futuro. Mentre da
noi si ripropongono vecchi cavalli vincenti in barba, caro Franco, al
concetto da te espresso e pienamente condivisibile del <<a
che serve sapere chi siamo se ci chiudiamo in noi stessi?>>.
Ecco,
appunto se restiamo ancorati alle passioni per Ferretti e Bregovic,
la taranta o la musica balcanica difficilmente potremo andare avanti.
Eliseno
Sposato
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