Marco Sanchioni - La Pace Elettrica (Autprodotto) Recensione


Come oramai ci ha abituato da anni, Marco Sanchioni pubblica un nuovo disco quando meno te lo aspetti. Appare e scompare a distanza di anni rilasciando una manciata di canzoni raccolte nel periodo di decantazione che può variare dai due ai dieci anni senza preoccuparsi più di tanto di finire nel dimenticatoio. Il successo così come la frenesia di essere sul mercato non è la sua priorità e, forse proprio per questo, finisce sempre con l’essere ascoltato con l’attenzione che merita.
Dal primo demo su cassetta, successivo all’esperienza di culto con The A Number Two, a questo nuovo album sono trascorsi ben 27 anni, durante i quali sono arrivati a noi quattro demotape (tre su cassetta ed uno su cd) e quattro album, più svariate partecipazioni a compilations che ne hanno definito lo stile di cantautore punk per via delle accelerazioni grintose che molti suoi brani presentano.
Non fa eccezione “La Pace Elettrica” che ripropone i canoni conosciuti del Sanchioni autore, in dodici brani che appaiono ai ripetuti ascolti, meglio messi a fuoco che in precedenza, pur non discostandosi molto da quelli pubblicati pima d’ora. Le influenze principali di Marchio Sanchioni sono ancora ben più evidenti che in passato, con Guccini che apre le danze con “L’alternativo è conformista” una sorta di Avvelenata aggiornata ai tempi dei Social, e gli Hüsker Dü che dalla successiva “la felicità non può più attendere” emergono prepotentemente in più di un’occasione.
Il suono rock chitarristico che richiama i Pixies lo troviamo in brani come “Pianeta meraviglioso”, mentre gli amati R.E.M. e Beatles sono meno presenti che in passato, sebbene i secondi guidano in realtà tutto l’impianto melodico del disco che come al solito poggia sui testi di pregevole fattura che spaziano tra l’intimismo delle esperienze personali ed una visione più globale nell’osservazione dell’universo che lo circonda.
Tra una ballata folk (“Amore sporco”) e spruzzi di punk (“Meglio il giullare del Re”) la prima parte del disco viene chiuso dal singolo “Chiuso in casa” che aveva anticipato l’album e che rappresenta forse la cosa più “radiofonica” mai prodotta dal Nostro seppure racconti una storia di auto esclusione dal mondo con il protagonista che vive le sue relazioni sociali chiuso in casa in una sorta di gabbia in cui la sua mente lo imprigiona. Sinceramente il brano sembra un po’ avulso dal contesto sonoro del disco, se non si conoscessero le influenze citate in precedenza e che danno un senso alla composizione dell’album. 
Tra i brani più riusciti da citare anche “Qualcosa che non ho” e “Giovedì grasso” il brano che cita i R.E.M. raccontando una scanzonata giornata carnevalesca a scuola che suona come una filastrocca e che potrebbe funzionare benissimo come successivo singolo di traino al disco.
La parte finale del disco riporta le atmosfere del disco sul piano cantautorale e che poggia sulla lunga e dolente “Canzone dei miei silenzi” come sempre il brano più personale dell’autore che come nei capitoli precedenti chiude il disco facendo il punto sugli anni trascorsi da una prova all’altra.
In definitiva “La Pace Elettrica” appare essere il lavoro meglio messo a fuoco da Marco Sanchioni in una carriera oramai trentennale vissuta con onestà cercando di dire qualcosa piuttosto che cercare di “arrivare” ad un successo magari effimero e poco adatto al suo essere un cantautore un po’ atipico.


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