Elli De Mon - Pagan Blues (Area Pirata Records)

 Scritto per Freakout Magazine e pubblicato il 02/05/2023


Avevamo lasciato Elisa De Munari (aka Elli De Mon) con l’ottimo “Countin’ The Blues – Queens of the 1920’s” (Area Pirata, 2021), disco riservato a ripercorrere gli albori del blues attraverso le canzoni di dieci interpreti femminili che hanno rappresentato una vera rivoluzione per i temi trattati nei testi tutti volti all’emancipazione femminile dell’universo black woman. Un ottimo disco di cover molto personalizzate che faceva seguito al libro “Countin’ The Blues – Donne Indomite” che la stessa autrice aveva pubblicato un anno prima per Arcana in cui approfondiva i suoi studi sulle figure di alcune artiste afroamericane che all’inizio del ventesimo secolo aiutarono le donne a trovare la loro voce per farsi sentire. Donne che sfidarono i rigidi limiti imposti dalla morale dell’epoca, guadagnandosi anche una pessima reputazione, ma che furono capaci di usare il blues come mezzo per raccontare la verità ed essere alla costante ricerca di un’emancipazione che appariva lontanissima da raggiungere.
Oggi Elli De Mon torna con una nuova raccolta di canzoni scritte e suonate tutte da sole che continuano a rivedere in un’ottica di moderna attualizzazione il blues, in una chiave estremamente personale seppure a tratti associabile ad artisti come Jon Spencer Blues Explosion, Oblivians, Chrome Cranks, QOTSA. Diciamolo subito, “Pagan Blues” è un disco magnifico di quelli che vanno ascoltati ad alto volume e possibilmente in cuffia per gustarne ogni sottigliezza sonora: dallo stoner di “Desert Song” al deragliamento garage di “Ticking”, alla psichedelia esoterica di “Siren’s Call”. Dall’uso degli strumenti, alla modulazione della voce che richiama molto la PJ Harvey più il lavoro di Elli De Mon su questo disco raggiunge un sempre più alto livello di raffinatezza negli arrangiamenti che variano di brano in brano dal ritmo crescente dell’iniziale “The Fall” alla quasi quiete di “Troubled” che chiude il disco quasi sussurrando. In mezzo troviamo canzoni eccellenti come “I Can See You” o la già citata “Desert Song”, per non parlare della paludosa “Catfish Blues” che rappresenta il manifesto sonoro di un disco che avvolge l’ascoltatore dalla prima all’ultima nota nelle sue spire non per soffocarlo, ma per portarlo all’estasi. Un disco così non può passare assolutamente inosservato.

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