Swans - The Beggar (Young God Records)
Pubblicato il 03/7 su Freakout Magazine
Attivi dal lontano 1982, gli Swans sono da sempre una delle band più in catalogabili nelle varie sottocategorie del rock, perché sono state tutto, ma anche l’esatto contrario. Nei quindici album precedenti e soprattutto nelle loro esibizioni dal vivo, non sono mai scesi a compromessi, mettendo a dura prova l’ascoltatore, prima ancora di riuscire a conquistarlo, immergendolo in una spirale di suoni un tempo violentissimi ed oggi molto più rilassati, ma non per questo meno impegnativi. Il tutto tenendo fede all’idea di un continuo mutamento sempre alla ricerca di strade nuove da percorrere.
Il sedicesimo album composto da Michael Gira ed elaborato insieme ad eccellenti musicisti come quelli che compongono l’attuale formazione: Kristof Hahn, Larry Mullins, Dana Schechter, Christopher Pravdica, Phil Puleo più l’ospite d’eccezione Ben Frost, è un disco estremamente impegnativo con i suoi ben 121 minuti di durata.
“The Beggar” è un disco inquietante e claustrofobico che non solo riflette il fatto di essere stato scritto durante quello che lo stesso Gira ha definito “lo strano disorientamento” dell’isolamento vissuto durante il periodo del lockdown pandemico, ma anche la riflessione che il suo autore fa sulla vita e la morte attraverso i testi ed i suoni che li accompagnano.
Ma “The Beggar” è soprattutto un disco intenso che veleggia spesso su delicate atmosfere acustiche che fanno da contraltare alla sperimentazione rumorosa degli esordi, dimostrando di essere fedeli a sé stessi, seppure in una forma decisamente diversa. I brani sono lunghi ed articolati come si capisce sin dall’apertura con “The Parasite” che si sviluppa prima sulle delicate note di una chitarra acustica per poi virare in una eufonia di rumore che potremmo definire silenzioso seppure ricco di ipnotici strati corali e strumentali.
Michael Gira riflette sulla sua mortalità visto oggi come qualcosa di più reale chiedendosi ad esempio su “Paradise Is Mine”: “Sono pronto a morire? Esiste davvero una mente?” e rafforzando il concetto in un altro brano, “Michael Id Done?” profetando che “Quando Michael se ne sarà andato, ne arriverà un altro. Quando l’altro sarà arrivato, allora Michael sarà finito“. A questi concetti fa da contraltare la title track in particolare quando l’autore si chiede “Quando imparerò finalmente a vivere?“.
Poche sono le canzoni che potremmo ascrivere ai riconoscibili canoni del rock, come ad esempio “Los Angeles City of Dead” e “The Uniform”, mentre assolutamente inclassificabile, se non sotto la voce di arte pura, è la lunghissima “The Beggar Lover (Three)” che con i suoi 43 minuti mette a dura prova anche i fan più devoti sebbene sia ricca di riferimenti al passato glorioso della band rimescolati sapientemente in questo lungo collage sonoro.
Se poi fisico e mente non fossero abbastanza fiaccati, per porre termine alla lunga maratone di The Beggar arriva il raga di “The Memorious” che spinge definitivamente l’ascoltatore negli inferi più profondi.
Di certo “The Beggar” non è un disco per tutti, forse neanche per chi ha sempre amato gli artifici sonori imbastiti da Michael Gira e compagni, ma solo per chi ha la mente aperta e soprattutto ancora voglia di immergersi nella musica come esperienza totalizzante.
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