Best of 2024 - Album
1 - CUTTERS - Psychic Injury (Legless/Drunken Sailor Records)
L’attesissimo album d’esordio del quartetto di Melbourne si è rivelato aderente alle aspettative. “Psychic Injury” è un ferocissimo assalto sonoro punk/hardcore con testi altrettanto rabbiosi contro il sistema e la moderna società australiana ma che sono mutuabili in ogni paese. Un invito a restare vigili perché “il futuro si prospetta più cupo della sala fumatori di un aeroporto”.
2 - CHIMERS – Trough Today (Poison City Records)
Il secondo album del duo di Wollongong (sempre Australia) conferma quanto di buono prodotto in precedenza, con il loro sound poco australiano, fatto di chitarre dissonanti, linee di batteria fuori dal coro, melodie difficili da dimenticare. “Through Today” è un grande album, con una struttura molto ben articolata che dall’inizio alla fine si dipana in maniera netta senza mai indugiare alla tentazione di arricchirlo di inutili orpelli. Alle volte bastano due soli strumenti per scrivere del grande rock’n’roll.
3 - AMYIL & THE SNIFFERS – Cartoon Darkness (B2B Records/Rough Trade/Virgin)
Per Amyl Taylor e compagni è arrivato il momento di compiere il definitivo salto di qualità e raggiungere quella popolarità che travalica l’ambito underground. In questo senso “Cartoon Darkness” è un disco perfetto per questo scopo, visto che la band australiana ha compiuto un deciso passo in avanti nella fase di scrittura delle canzoni. I cambiamenti climatici, l’intelligenza artificiale, la politica e i Big Tech, ma anche l’odio che prolifica nell’anonimato del web, la visione femminista del mondo che la Taylor mette nei suoi testi, sono al centro di un disco che si evolve dal punk per andare verso una visione moderna del rock, per non restate soffocati nel genere di partenza e per rispondere all’ottusità di chi li accusa di essersi “svenduti troppo presto”.
4 - X – Smoke & Fiction (Fat Possum)
44 anni dopo l’uscita del loro disco d’esordio, il seminale “Los Angeles (Slash, 1980), gli X decidono di uscire di scena con quello che annunciano essere il loro ultimo album in studio. Per farlo hanno usato una roboante ma veritiera introduzione volta a farli conoscere a chi non ne ha incrociato la strada in questo quasi lungo mezzo secolo: "Essere grandi è una cosa. Rimanere grandi per molto tempo è un'altra cosa. Gli X sono stati grandi per 47 anni, costruendo la loro leggenda come uno dei gruppi punk più originali d'America con sette album tra il 1980 e il 1993”. In “Smoke & Fiction” ritroviamo tutti gli elementi che hanno contraddistinto le varie fasi della carriera del quartetto, che ha costruito un album che non solo non sfigura nella loro discografia, ma che possiamo certamente raccontare come questo rappresenti uno sguardo sul passato scevro da ogni nostalgia.
5 - PETER PERRETT – The Cleansing (Domino)
Alla veneranda età di 72 anni, l’ex front-man degli indimenticabili Only Ones continua a sfornare dischi di una qualità sorprendente. “The Cleansing” è pieno di racconti ironici e narcotici, che vedono non solo i figli Jamie e Peter Junior fornire il supporto musicale, ma anche le apparizioni di ospiti del calibro di Johnny Marr, Carlos O'Connell dei Fontaines DC oltre all'eterno fanboy del rock'n'roll Bobby Gillespie. In queste canzoni sull'arte, la dipendenza e l'invecchiamento, Peter Perrett rimane sicuramente il poeta laureato del romanticismo oscuro e distanziato e “The Cleansing” è un'altra bella aggiunta a una carriera musicale che non ha mai avuto a che fare con le mode, ma che spesso è stata l'ultima parola in fatto di cool.
6 - SPLIT SYSTEM – Vol. II (Legless/Goner/Drunken Sailor)
Il secondo album del supergruppo di casa Legless, mantiene le aspettative create con le precedenti uscite, mettendo in fila undici brani al fulmicotone dove il proto punk ad alta energia si fonde in maniera mirabile con il migliore garage rock immaginabile, senza disdegnare di infarcire le canzoni di pregevoli ganci melodici ascrivibili al migliore power pop. Vol.2 mostra la capacità degli Split System di creare musica rock urgente e orecchiabile che rende omaggio all'eredità del punk e della primigenia storica scena Aussierock, assegnando agli Split System un posto di rilievo in quella dei giorni nostri.
7 - POND – Stung! (Spinning Top Music)
Il decimo album dei Pond è un disco che ha bisogno di essere ascoltato più volte per essere assimilato in pieno, ricco com’è di canzoni complesse e di sonorità differenti che si susseguono: dalla psichedelia al dream-pop, passando per brani ricchi di groove funky, ed approdare anche ai lidi del power pop. E se la musica ha davvero tanto da dire, non dimeno sono i testi che Allbrock propone ricchi di un’inquietudine che spesso contrasta con la solarità dei suoni. Con “Stung!” i Pond offrono una prova significativa della loro crescita artistica, mostrando di avere una spiccata capacità creativa tesa a realizzare musica avvincente che seppure sia ricca di riferimenti classici, non risulta mai stucchevolmente derivativa.
8 - THE PEAWEES – One Ride (Wild Honey Records)
Come molte band di valore che suonano rock, anche i Peawees restano nascosti nello scrigno dei valori più preziosi della musica italiana. Il power pop di cui è permeato “One Ride” lo pone ai vertici della discografia dei Peawees.Un disco perfettamente bilanciato nelle sue diverse influenze, scritto e suonato come meglio non si potrebbe, che è davvero difficile togliere dal giradischi o dal lettore cd, e che merita di essere messo in evidenza come uno dei migliori prodotti usciti quest’anno, e che a farlo sia stata una band italiana, non può che essere un’ulteriore nota di merito.
9 - THE STABBING JABS – The Stabbing Jabs (Beast Records)
The Stabbing Jabs è un magnifico disco d’esordio per una band che ha un glorioso passato alle spalle. Nati dalle ceneri dei mitici Chrome Cranks, la nuova formazione messa in piedi da Peter Aaron continua a suonare un selvaggio e disperato rock’n’roll che affonda le sue radici scavando nel blues, continuando a destrutturarlo in chiave noise, unendolo come sempre con la componente proto-punk imparata a memoria sui dischi di Stooges e MC5.
10 - FATHER JOHN MISTY - Mahashmashana (Sub Pop)
“Mahashmashana” potrebbe essere l’ultimo album che Josh Tillman firma come Father John Misty? È un’associazione piuttosto facile da fare già solo a partire dal titolo dell’album: Mahashmashana, un'anglicizzazione di mahāśmaśāna, la parola sanscrita che indica il terreno di cremazione: la terra bruciata prima della prossima vita. Ma potrebbe anche non essere così, nonostante in tutto l’album Tillman riflette sul passato e sulle sue esperienze di vita utilizzandole sempre in accezione ampia come ha fatto nei precedenti cinque album pubblicati con il moniker di Father John Misty. “Mahashmashana” è un album impegnativo seppure composto da soli otto brani ma che hanno spesso un minutaggio che va oltre i cinque minuti, raggiungendo il picco nella title track posta in apertura e che dura oltre nove minuti. I temi trattati sono pesanti come l'egoismo, la misoginia, l'amore, la difficoltà di amare e le varie strumentalizzazioni e contraddizioni della società, ma la musica che li riveste riesce spesso ad dilatarne i contorni. E non è un caso che il disco si apra in questo modo proprio per mettere subito in evidenza il mood orchestrale che riveste l’album, fatto di brani finemente arrangiati da Drew Erickson che coproduce il lavoro, che collocano il lavoro nella tradizione del miglior pop-rock orchestrale degli anni Settanta.
11 – SHELLAC – To All Trains (Touch & Go)
a prematura scomparsa di Steve Albini avvenuta appena nove giorni prima dell’uscita del disco ha reso, inconsapevolmente, “To All trains” il testamento sonoro di una delle menti più brillanti che hanno attraversato l’ultimo trentennio della musica rock. Composto da dieci canzoni per un totale di poco più che 28 minuti del più classico noise/math rock fatto di riffs di chitarra nervosi ed innestati su di una solida ritmica che crea fascinosi groove ipnotici. Albini e Bob Weston si alternano al canto con il primo che risulta a tratti sprezzante anche quando riempie i testi con la sua sottile ironia, mentre il secondo ne ammorbidisce i toni, rendendo il disco meno monocorde rispetto al passato. Sembra quasi che nel mettere a punto questo disco, il trio abbia voluto dare un’immagine più appetibile di sé, non tanto smorzando le note asperità sonore, ma confezionandole in una maniera tale che possa essere accattivante per il neofita, ma allo stesso tempo altamente appagante per i fan di vecchia data.
12 – MOOON – III (ExcelsiorRecordings/Soundflat Records)
Per il loro terzo album in studio, gli olandesi MOOON hanno deciso di fare le cose in modo un po' diverso: registrare tutto da soli. La band non ha risparmiato alcuno sforzo e ha trascorso innumerevoli ore per far sì che questo album suonasse nel modo in cui suona. Con 12 nuove canzoni e uno studio completamente nuovo, costruito da Tom de Jong, hanno deciso di registrare il loro miglior lavoro fino ad ora: un gradevolissimo concentrato di rock psichedelico che non mancherà di raccogliere consensi più che positivi.
13 – ROYEL OTIS – Pratts & Pain
Con un album d'esordio e oltre 100 concerti a loro nome nel 2024, i Royel Otis sono da annoverare tra gli artisti più significativi dell'anno. Il duo australiano Royel Madden e Otis Pavlovic si è fatto un nome con un vivace pop chitarristico che non cerca mai di prendersi troppo sul serio. Tuttavia, se si scava sotto la superficie dell'album - le brevi grida di distorsione in "Adored"; il pianoforte sgangherato che tiene il ritmo in "Velvet" - si può vedere la coppia che si spinge oltre la propria zona di comfort. C'è un senso di avventura in tutto l'album - "Foam" prende spunto dal pop psichedelico degli MGMT dell'epoca di "Congratulations", mentre la più chitarristica "Daisy Chain" sembra più vicina ai Dinosaur Jr. Con tanti altri riferimenti presenti nelle varie canzoni dell’album è facile immaginare che la band possa finalmente raggiungere il mainstream con questo ottimo debutto.
14 – THE JESUS LIZARD – Rack (Ipecap Recordings)
Il 2024 non è solo l’anno degli album di addio dalle scene (vedi alla voce X), ma anche quello dei grandi ritorni. A 26 anni dall'ultimo album in studio, con “Rack” i Jesus Lizard ritornano in modo così perfetto che sembra che non se ne siano mai andati, dimostrando di non aver perso nulla rispetto alla loro leggendaria carriera che ha prodotto classici come Goat e Liar. Tutto ciò che i fan di lunga data hanno amato dei Jesus Lizard è qui: David Yow attacca ancora la voce come un uomo posseduto, ululando le sue caratteristiche storie demenziali ma poetiche. I riff inventivi di Duane Denison si muovono sull'energia cinetica e propulsiva della batteria di Mac McNeilly e del basso rimbombante di David W. Sims. In poche parole “Rack” è un altro capitolo emozionante di una delle band noise più significative di sempre.
15 – GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR - No Title As of 13 February 2024 28,340 Dead (Constellation)
L’ottavo album del collettivo post-rock canadese, porta un inconfondibile messaggio politico attraverso una composizione incredibilmente cupa. Il titolo dell'album fa riferimento alle pesanti perdite di civili subite a Gaza dopo lo spietato bombardamento della Palestina da parte di Israele. Un requiem per la perdita non solo di un popolo, ma anche di un luogo. Considerando che il bilancio delle vittime del genocidio israeliano nella Striscia di Gaza è diventato abnorme rispetto alla data indicata dal titolo dell'album, il disco rimane sempre più attuale. Sebbene non sia certamente un'opera per un ascolto casuale, “No Title As of 13 February 2024 28,340 Dead” è, in tutta la sua strumentazione rumorosa e distorta, l'incarnazione della musica come arte.
16 – ARAB STRAP - I'm Totally Fine With It 👍 Don't Give A Fuck Anymore 👍 (Rock Action Records)
Se già il “ritorno” sulle scene degli Arab Strap con “As Days Get Dark” del 2021 era stato salutato con entusiasmo, vista l’alta qualità delle canzoni che conteneva, questo secondo atto del duo scozzese spinge ancora di più verso l’alto una carriera ben più che brillante, iniziata 28 anni fa e costellata di dischi pregevoli che raramente hanno mostrato cadute di tono.
"I'm totally fine with it 👍don't give a fuck anymore 👍" con tanto di emoji inserite nella grafica del titolo, è una sorta di concept album in cui Moffat scandaglia senza fare sconti, la società moderna alle prese con i social, le relazioni virtuali ed i conseguenti condizionamenti che ciascuno di noi subisce nel frequentarle e farsi condizionare da essi.
17 – METZ – Up On Gravity Hill (Sub Pop)
il trio noise rock canadese METZ continua a proporre, seppure con elementi più sfumati rispetto al passato, un mix di elementi punk, post-punk, alternativi, indie e grunge, realizzando brani molto tirati che spingono la batteria e il basso come un motore costante, facendo avanzare le cose mentre piovono strati di feedback speziati dai pedali. In Up On Gravity Hill, il suono dei METZ si evolve e il trio esplora nuovi pascoli sonori, pur mantenendo intatto il proprio nucleo.
18 – THREE SECON KISS - From Fire I Save The Flame (Overdrive)
“From Fire I Save The Flame” è il settimo disco dei Three Second Kiss che esce a dodici anni dal precedente “Tastyville”, quindi anche il trio italiano s’iscrive al clb dei grandi ritorni del 2024. Per realizzare e pubblicare questo lavoro hanno chiamato in cabina di regia Don Zientera (ingegnere del suono dei Fugazi e di tanti dischi marchiati Dischord) e per la copertina si sono rivolti a Jeff Mueller dei June of ’44/Rodan/Shipping News. Il trio emiliano/catanese non tradisce l’antico smalto e continua a proporre un rock spigoloso e grezzo come non mai. La miscela di noise, post-rock e math rock continua a funzionare, dimostrando che il passare degli anni non inficia assolutamente una proposta musicale che sulla carata, ma solo su di essa, potrebbe apparire datata.
19 – THE BEASTS – Ultimo (Slick Productions)
I Beasts comprendono ex membri dei Beasts of Bourbon e sono stati concepiti per registrare un'ultima volta con uno Spencer P Jones malato e onorare il bassista Brian Hooper, deceduto. L'album "Still Here" è stato prodotto e portato in tour prima che i Beasts perdessero il batterista Tony Pola, anch'egli malato di cancro. Riunirsi nuovamente con il batterista fondatore dei Beasts of Bourbon James Baker, anch'egli malato terminale, e fare altri concerti è stato un modo per unire i punti storici e tenerlo sul pianeta. “Ultimo” come nel caso degli X non è il capitolo definitivo dei Beasts of Bourbon all'apice del loro temibile "Low Road", ma di The Beasts che mettono a punto una nuova serie di canzoni. I Beasts non si discostano troppo dalla band che li ha preceduti, ma sono un gruppo diverso e unico a modo loro. Le canzoni riflettono sullo stato del mondo sono intervallate da osservazioni sullo stato dell'uomo, e traspare un umorismo cupo.
20 – THE BEVIS FROND – Focus On Nature (Fire Records)
Nick Saloman come sempre insieme a una formazione diversa della sua band, ha sviluppato il proprio sound nel corso degli anni e lascia un'impronta musicale a prescindere. Chiamatelo rock alternativo, aggiungete un pizzico di psichedelia, un po' di indie ma soprattutto il necessario lavoro di chitarra e avrete un'idea di cosa aspettarvi. “Focus on Nature”, il 29° album di Saloman con i Bevis Frond, è una serie eterogenea e una testimonianza di come il buon songwriting e la solida musicalità, nelle mani giuste, non invecchino mai. In Focus on Nature è affiancato dai compagni di band di lunga data, tra cui i chitarristi Paul Simmons e Bari Watts, il bassista Louis Wigett e il batterista Dave Pearce. La figlia di Salomon, Debbie, collaboratrice occasionale dai primi anni Duemila, ritorna per aggiungere i cori in diversi brani. Le esecuzioni dal vivo e la produzione priva di fronzoli conferiscono all'album un'atmosfera classica senza rimanere ancorati a un'unica epoca musicale.
21 – BETH GIBBONS – Lives Outgrown (Domino)
In oltre vent’anni di carriera solista la cantante dei Portishead ha prodotto solo tre album di cui “Lives Outgrown” è il rpimo a firma del suo solo nome, segno che la sua voce sia diventata un prezioso totem dell'infelicità, un dono per coloro che desiderano trasmettere disperazione, desolazione o, a volte, una fragile speranza. Per questo suo vero e proprio primo album solista, ci sono voluti dieci anni di gestazione per mettere a punti canzoni ombreggiate dalla morte, canzoni che affrontano la perdita, il lutto e la menopausa - una fase della vita che lei descrive come una "revisione massiccia" che "ti taglia le ginocchia". Lives Outgrown è un disco attento alle pelli che si staccano, sensibile agli inesorabili danni causati dagli anni che passano.
22 – ASSALTI FRONTALI – Notte Immensa (Daje Forte Daje Records)
“Notte immensa”, decimo album per gli Assalti Frontali, arriva dopo il ritorno di “Courage” (2022) a chiudere in bellezza questo 2024 musicale. “Notte immensa”, nato dai laboratori che Militant A tiene da anni nelle scuole, è calato nel presente, nel linguaggio dei giovani è pieno di ombre e di angoscia, ma è anche attraversato dalla più luminosa delle speranze. Usa un linguaggio riconoscibile e suona vivo e urgente come troppo spesso gli album dei rapper più giovani e sulla cresta dell’onda non riescono a essere. Dovevamo fare uscire delle cose, era troppo importante che ora uscisse l’album, è un momento di disorientamento, di casini, il mondo sta esplodendo, ci vuole il disco di Assalti Frontali fuori adesso” dice Militant A che aggunge “I testi sono stati scritti durante questo anno di manifestazioni di piazza in favore di Gaza, dove si viene arrestati per aver detto: “Non uccidete i bambini”, perché non si devono compromettere i rapporti con gli assassini. Dove si urla sempre più forte “W la lotta per la libertà”, e sempre più persone si aggregano nelle strade, nelle scuole, nelle università, nei concerti e non vogliono essere complici di una società genocida.
23 – THE DECEMBERISTS - As It Ever Was, So It Will Be Again (Y.A.B.B. Records)
“As It Ever Was, So It Will Be Again” vanta il songwriting più nitido di Colin Meloy in più di un decennio, con canzoni che si allontanano dall'approccio synth-forward dell'album “I'll Be Your Girl” del 2018 a favore del suono chamber-pop che caratterizzava il lavoro precedente dei Decemberists. È un album pieno di canzoni distinte l'una dall'altra, ma allo stesso tempo unitarie, con un titolo che sembra una profezia che si autoavvera. Dopo un periodo di inattività, una delle band più gratificanti dell'indie-rock ha ritrovato la sua strada, e in forma migliore di prima.
24 – ONEIDA – Expensive Air (Joyful Noise Recordings)
a musica del diciassettesimo album completo degli Oneida, Expensive Air, è iniziata come canzoni rock melodiche e strettamente strutturate ma lungo il percorso è cambiata. Gli Oneida hanno a lungo attraversato i confini della zona grigia tra il mondo punk/psych/rock di New York e il mondo dell'arte/sperimentale. L'album precedente degli Oneida, Success, è arrivato dopo una pausa di quattro anni, liberando l'energia creativa repressa della band in una serie di canzoni orecchiabili, accessibili e quasi poetiche. La struttura delle canzoni è rimasta importante nella preparazione di Expensive Air, ma anche l'interazione istintiva e improvvisativa che ha sempre fatto parte del processo degli Oneida.
25 – MOTORPSYCHO – Neigh! (Det Nordenfjeldske Grammofonselskab)
Il nuovo corso della band norvegese inaugurato lo scorso anno con “Yay!” prosegue con un nuovo album dal titolo “Neigh!!” che, come il precedente, recupera una serie di brani registrati nel corso degli ultimi anni e che non si adattavano ad essere inseriti in dischi dall’anima ben definita come “The Tower”, “The Crucible”, “The All Is One” “Kingdom of Oblivion” e “Ancient Astronauts” pubblicati in precedenza.
Questi brani frutto di sessions durate “lunghi anni” non sembrano affatto appartenere alla categoria degli scarti, seppure di qualità, con i quali assemblare album in vista della chiusura di un lungo contratto discografico, ma sono a tutti gli effetti degni di apparire nel catalogo dei prolifici Motorpsycho. “Neigh!” è un disco che si lascia ascoltare piacevolmente e che dobbiamo considerare come punto di passaggio verso un futuro che ancora non sappiamo dove porterà i Motorpsycho, gruppo che non deve dimostrare più nulla, ma che possiamo prevedere di non dovere attendere poi molto per scoprirlo.
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