Recensione - The Hellacopters - Overdrive (Nuclear Blast)
Giunti al trentesimo anno di attività The Hellacopters continuano
a mantenere una solida leadership nella scena rock svedese grazie anche
all’ottimo successo di vendite ottenuto con l’album “Eyes Of Oblivion” (Nuclear
Blast, 2022) che ne aveva sancito il ritorno sulle scene dopo un lungo periodo
di stop iniziato nel 2008. Il ritorno sulle scene è stato accolto
favorevolmente anche per la presenza nel disco e nel tour susseguente del chitarrista/fondatore
Andreas Tyrone “Dregen” Svensson, tornato a collaborare con Nicke
“Royale” Andersson per rinverdire i fasti di una delle band che negli anni
Novanta hanno espresso meglio di ogni altra l’essenza dell’hi-energy rock’n’roll.
Sebben non baciata da numeri di grande notorietà la storia
di The Hellacopters è stata di sicuro un esperimento di successo da quando Nick
Royale decise, nel 1994, di lasciare momentaneamente il ruolo di
batterista/compositore nella Doom-Metal band Entombed, per dedicarsi ad un
progetto di garage rock che avesse come fonte principale d’ispirazioni le
seminali band del Detroit sound di fine anni ’60 inizio ’70.
Con album epocali come “Supershitty To The Max!” (1996),
“Payin’ The Dues” (1997), “Grande Rock” (1999), “High Visibility” (2000) e “By
The Grace Of God” (2002) hanno rappresentato la cosa più vicina alla Sonic
Rendezvous Band di Scott Morgan, prodotta in Europa, tanto che alla fine Nick Royale
finì per collaborare con l’ex MC5 nel disco d’esordio degli Hydromatics: “Parts
Unknow” (1999).
Oggi The Hellacopters presentano un nuovo album, dalla
copertina orrenda, che vorrebbe mirare a rinverdire i fasti del passato, ma che
non riesce appieno nel suo intento nonostante Nicke Andersson si sia occupato
in prima persona della produzione e di gran parte della scrittura, mentre
Dregen è forzatamente assente per un infortunio ad una mano che non gli
consente di suonare, e in formazione è entrato il bassista Rudolf De Borst dei
neozelandesi Datsun, che ha scritto due brani del disco.
Overdrive (edito dalla Nuclear Blast) è un disco che
funziona a metà, anche se i ripetuti ascolti potranno in futuro portare a
rivedere questo giudizio. La prima parte dell’album mostra una versione di The
Hellacopters più matura che cerca di mantenere la barra dritta come un tempo con
brani come “Token Apologies”, “Don't Let Me Bring You Down” e
soprattutto “Wrong Face On” che mostrano il carattere di un suono che
hanno fatto della band svedese un nome di culto a cavallo tra gli anni Novanta
e Duemila.
Questi primi tre brani sono inframmezzati dal singolo “(I
Don't Wanna Be) Just A Memory” che strizza pesantemente l’occhio al rock
mainstream di facile presa con i suoi ritornelli che lasciano alquanto
perplessi e che vengono ripresi in brani come “Soldier On” e “Doomsday
Daydream” che appaiono lontani anni luce da quello che più abbiamo amato
degli Hellacopters. Rock AOR un po’ insipido che viene rimesso per fortuna in
discussione da un brano come “Faraway Looks” che riporta solo
momentaneamente il gruppo sulla retta via.
Dopo questo brano il disco sembra spegnersi progressivamente
inanellando una serie di brani un po’ anonimi che non lasciano tracce, se non,
forse, nella conclusiva “Leave A Mark” che parte con l’identica prima
strofa iniziale di “Dancing In The Dark” di Springsteen, per poi trasformarsi
in una classica canzone del gruppo svedese.
Nel suo complesso, la musica di Overdriver è un po' più blanda, ci si
concentra maggiormente sui temi e sulla coesione piuttosto che sul fattore “energetico”
della chitarra. Gli strumenti occupano i loro posti sullo sfondo delle canzoni,
ma per la maggior parte l'album vuole che l’ascoltatore si concentri sulle
storie che racconta. Cerca di stabilire una connessione diversa con il pubblico
rispetto al passato, concentrandosi su temi che vanno più in profondità del
rock ’n’ roll. In un certo senso, The Hellacopters si sono trasformati da band
di rock ad alta velocità energia, in una di indie rock a forti tinte garage
rock.
Se da una parte è fisiologico che non si possono più
scrivere canzoni come “Soulseller” o “The Devil Stole the Beat from the
Lord” è anche vero che la ricerca di strade più consone all’età adulta,
frutto di una consapevolezza ed uno status ottenuti nel corso di una carriera
così lunga, non devono essere prive di quel retroterra che li ha resi quelli
che sono. In questo senso un album come Overdriver non ci è riuscito in tutto
ma solo in parte.
Pubblicato la prima volta su Freakout Magazine il 26.02.2025
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