intervista Dente 16.12.2014



La tappa cosentina è l’ultima in teatro del tuo tour di “Almanacco del giorno prima”, quinto album  di Giuseppe Peveri in arte Dente, uno dei migliori cantautori della nuova generazione, che salirà sul palco del Teatro Auditorium dell’Unical, per l’ultimo appuntamento della rassegna di concerti organizzata dal Cams. Lo abbiamo raggiunto a poche ore dal suo ritorno nella nostra città che lo ha visto protagonista più volte in un crescendo di successo e popolarità che è andato di pari passo con la crescita della sua carriera.
Partiamo proprio dalla prima volta che sei arrivato a suonare a Cosenza, che ricordi hai?
<<La prima volta, nel 2007,  suonai in un locale piccolissimo, davanti a non più di cinque, sei persone, ma ne conservo un ricordo piacevole perché conobbi Dario Brunori e Simona Marrazzo che non erano ancora i Brunori Sas, ma dei semplici appassionati che andavano ad un concerto, grazie a loro conservo un buon ricordo di quella data>>.
Oggi torni con l’ultima tappa del tour di “Almanacco del giorno prima” cosa ci sarà di diverso in questo spettacolo?
<<Sarà come quelli svolti all’inizio dell’anno che ci ha visto esibirci in alcuni teatri, mentre oggi lo stiamo concludendo nei club tranne questa data all’Unical dove torniamo appunto in un teatro con la band allargata ad otto elementi, con la sezione fiati, per offrire qualcosa di diverso al pubblico, a partire da una scaletta aggiornata, anche per suonare alcune canzoni escluse proprio per la mancanza dei fiati, e per chiudere in maniera speciale l’anno di promozione di “Almanacco”>>.
In questo tuo nuovo disco hai spinto la composizione ancora di più verso il passato, guardando alla tradizione dei grandi cantautori attraverso un taglio moderno. 
<<Amo molto quel periodo musicale, quello degli anni sessanta, per la canzone come venina scritta, arrangiata e suonata in quegli anni perché credo non abbia tempo, nonostante si capisca benissimo che viene da lì. La sfida che cerco è quella di scrivere proprio canzoni che non abbiano tempo, che non siano legate ad un periodo storico. Io fondamentalmente scrivo canzoni d’amore, un tema che difficilmente passa di moda, ed ho cercato di tornare a quell’epoca utilizzando strumenti un po’ in disuso per ricreare quell’atmosfera>>.
Fra tutti i cantautori della leva cantautorale 2.0 sei uno dei più classici, forse quello che si discosta maggiormente dai colleghi contemporanei inseriti in questo filone.
 <<Anche Tenco ed Endrigo vivevano nello stesso tempo. A me non disturba essere classico, anche perché la ricerco questa classicità. Amo la nostalgia, anche se amo vivere nel mio tempo, proprio per quanto dicevamo prima>>.
L’amore che racconti con disincanto come nasce?
<<Dal cercare di trovare un linguaggio che possa essere riconosciuto negli anni a venire, per questo non uso termini moderni. Pensa se usassi una parola come “selfie” in una canzone, magari tra dieci anni nessuno la riconoscerebbe, perché probabilmente non si userà più. Così la mia ricerca non è solo musicale, ma sto attento alle parole>>.
In quest’ottica è più importante scrivere per se stessi piuttosto per il potenziale pubblico che ascolterà le canzoni.
<<È brutto da dirlo al pubblico, ma io scrivo solo per me stesso. Ho iniziato a scrivere le canzoni senza avere un pubblico, ed oggi che ce l’ho ed è difficile evitarlo, cerco di essere sincero e no pensare a cosa può funzionare in una canzone>>.
Hai mai pensato di scrivere una canzone politica o dal forte contenuto sociale?
<<No perché credo che quel tipo di cantautorato sia morto e sepolto, anche perché quel mondo non c’è più. Credo non abbia senso paragonare la musica di oggi con quella degli anni sessanta, anche se attingiamo da quel patrimonio gigantesco, oggi è cambiato tutto>>.
Ma il mondo di oggi tendi a tenerlo lontano dai tuoi testi?
<<Io vivo nel mio tempo e questo appare sullo sfondo. Ma la mia fonte d’ispirazione è quella di cercare di scrivere brani come “Canzone per te” di Sergio Endrigo che se vai a leggere il testo potresti benissimo collocarla negli anni trenta come nel 2014. Sono quei sentimenti che muovono la mia scrittura>>.
Tu hai iniziato a muovere i primi passi nell’epoca di My Space che sembra oggi lontanissima. Perché nessuno è riuscito ad arrivare a Sanremo attraverso i social network , mentre oggi chi passa dai talent viene inserito nel gruppo dei big? È solo una questione di mezzo di diffusione?
<< la TV è ancora il mezzo di comunicazione più forte che c’è, non si può paragonare ad Internet. Finché in televisione non ci sarà qualcuno che decide di dare visibilità alla gente che suona, al pubblico che va ai concerti difficilmente ci arriveremo. Sembra quasi di vivere in un mondo parallelo rispetto a quello della televisione, dove una fetta grande del paese sembra non esistere. Se la televisione non apre una porta continueremo a non guardare Sanremo>>.
Eppure negli anni sessanta la musica di qualità era assoluta protagonista della televisione.
<<Oggi c’è ancora tanta musica in televisione. Se pensi che X factor è uno dei programmi più seguiti, tutto basato sulla musica. Il problema è che manca la qualità. Nei sessanta si arrivava in tv quando eri davvero bravo. Chi ci arrivava sapeva cantare, ballare, recitare, sapeva fare tutto alla perfezione e si provava tutta la settimana prima di arrivare ad esibirsi il sabato sera. Oggi in televisione va in onda una gigantesca corrida, cose fatte male di cattivo gusto>>.

Questa intervista è stata pubblicata il 17 dicembre sulle pagine del quotidiano La Provincia di Cosenza

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