Cheap Wine - Faces (Cheap Wine Records/IRD 2019)


CHEAP VINE – Faces (Cheap Wine Records/IRD)
Puntuale come il contratto di un calciatore arriva davanti ai nostri lettori cd il nuovo album dei Cheap Wine. Solo la data è diversa, non il canonico 30 giugno ma l’oramai classico, per la band pesarese, 3 di ottobre che ricorre spesso come data di pubblicazione dei loro dischi. Con Faces siamo arrivati al 13° capitolo di una discografia che conta 1 mini-lp, 2 album dal vivo e 10 album da studio, cui bisogna aggiungere il libro con tutti i testi con traduzione a fronte, che raccontano oltre vent’anni di una storia intrisa di orgogliosa e fiera indipendenza che ha un solo dogma da seguire: l’onesta ed il rispetto verso il proprio pubblico, al quale offrire sempre dischi e concerti di pregevole fattura.
Faces ha un’eredità pesante con la quale confrontarsi che è quella di dare seguito ad un album celebrato come Dreams (2017) che chiudeva la trilogia aperta da Based on Lies (2012) e proseguita con Beggar Town (2014). In quei dischi il filo conduttore era l’oppressione che gravava sui personaggi di ogni album, che dapprima venivano sconvolti da una crisi economica mascherata dalle bugie dei mass media che raccontavano un mondo basato sulla finzione, si ritrovavano ad avere attorno a sé solo macerie. Su queste macerie i protagonisti di Beggar Town hanno dovuto prendere atto che a nulla di solido potevano aggrapparsi per sopravvivere, ma dovevano contare solo sulle proprie forse per combattere una dura lotta il cui esito non era dato per scontato, ma contava solo trovare le forze per cercare un riscatto da quel senso di desolazione dominante.
A quel punto la vera sfida era guardare oltre e cercare una via d’uscita che veniva rappresentata dai sogni e dall’amore, unico antidoto per superare che l’oscurità delle cose negative, potesse prendere il sopravvento su quelle cose che abbiamo intorno, l’amore, la famiglia, le persone care, che ci fanno da corazza e che diamo per scontate, dimenticando quanto siano fondamentali per andare avanti, qualsiasi cosa accada.
Tre album molto dark dai quali scostarsi, cercando nuove strade da percorrere e storie da raccontare. Per farle Marco Diamantini ha smesso di guardarsi dentro, rivolgendo lo sguardo intorno al mondo che lo circonda per dare corpo ai testi delle nuove canzoni cesellate dai suoi compagni, con un’ampia gamma di suoni che, solo ai primi ascolti, danno la sensazione di avere tra le mani un disco più solare dei precedenti.
Sin dalle prime note del brano di apertura Made To Fly questa sensazione ci avvolge con una melodia ed un incedere del brano che crea subito la simbiosi tra i musicisti e l‘ascoltatore ed è facile prevedere che sarà uno dei brani più graditi sotto il palco. Un brano che introduce il tema dell’album che quello di cercare di andare oltre le convenzioni di una società che vuole che tu indossi una maschera anonima e ti adegui ad essere solo un piccolo ingranaggio sostituibile o, per dirla con i Pink Floyd, solo un altro mattone nel muro.
Ma se Made To Fly appare come un classico brano dei Cheap Wine, la successiva Head in the Clouds mette a fuoco le novità sonore che cercano di arricchire la tavolozza dei colori con strutture meno scontate. La chitarra di Michele Diamantini, sempre protagonista, non poggia solo sul virtuosismo ma cerca di ricamare delle linee guida con dei riffs che girano in loop. Compaiono i primi campionamenti messi in campo da Alessio Raffaelli che cerca di arricchire i suoni con mille sfumature.
Il brano successivo, a mio modesto avviso, rappresenta il capolavoro dell’album. The Swan and the Crow mostra la coralità raggiunta dal gruppo, con il basso di Andrea Giaro e la batteria cesellata da Alan Giannini vengono posti in primo piano per creare un crescendo emotivo che durante tutto il brano viene accompagnato dall’organo di Raffaelli che conduce magnificamente la linea melodica. Il brano, così come i precedenti, ci spinge subito a pensare che al risveglio dai sogni dell’album precedente, i personaggi di Faces si siano risvegliati nuovamente nella loro Beggar Town dove un cigno è destinato a diventare un corvo, ma per fortuna il protagonista non cederà alla prevedibilità della cosa perché ci fa sapere di avere “qualcosa di grande che splende dentro di me” e che in quella città il cigno non diventerà mai un corvo.
Anche il protagonista di The Great Puppet Show si sente, come gli altri fuori posto e viene invitato a diventare parte dello spettacolo di burattini, ma lui sceglie saggiamente di restare in disparte. Uno dei brani registrato su di un incedere molto rock che serve a riaccendere la miccia.
La parte centrale del disco è occupata da altri due brani cardine che sono la title track e Misfit. In Faces la chitarra di Michele Diamantini fa scaramucce con basso e batteria ripetendo ossessivamente un riff killer, mentre le tastiere avvolgono tutto in attesa del crescendo dell’assolo finale. Il brano racconta dei volti che il protagonista incontra sul suo cammino, giorno dopo giorno. Facce che sembrano anonime ed allineate ma che andrebbe scandagliate in profondità per cercare di carpirne le reali potenzialità.
In Misfit Marco Diamantini racconta la sua esperienza con il rock’ n’ roll e di come questa abbia letteralmente cambiato la sua vita. Un brano nel quale riconoscersi pienamente, soprattutto in tempi come questi dove il rock sembra essere svanito dagli interessi delle masse e spesso ridotto a caricatura di sé stesso. Ci si sente fuori posto oggi in Italia a suonare ed ascoltare quella musica rock data per morta da troppo tempo, che ci fa sentire di essere dei tipi strani pronti “a dire facilmente addio con una valigia piena di sogni che voi dite, sono destinati a sparire”. Un brano sottolineato dalla frase manifesto del disco e del senso di appartenenza che ha il gruppo e chiunque ami questa musica: Rock’n’roll is state of mind.
L’album si chiude con tre canzoni molto diverse tra loro. Princess è una stupenda ballata per “uomini coraggiosi” dove ancora una volta, attraverso l’uso della metafora, si racconta di un uomo alla deriva che d’improvviso riesce a risollevarsi attraverso l’ingresso in una fiaba dove l’amore e l’odio sono in lotta perenne. Disguise pigia nuovamente sull’acceleratore attraverso una melodia killer ed un ritornello da cantare a squarciagola dove le facce questa volta hanno il trucco di tristi clowns e viscidi mentitori.
Come sempre il brano che chiude il disco è quello che cerca di proporre l’anelito verso un riscatto prossimo futuro. In New Ground ancora una volta la strada è aperta verso l’ignoto ed il protagonista ha bisogno di lasciare la città in cerca di luce e nuovi orizzonti e mette in guardia tutti noi dagli eroi che altro non sono che “un’invenzione creata per chi si sente ingannato e tradito”. Un brano con un incedere psichedelico che si rifà alla grande tradizione del rock, non solo degli anni ’60 e ’70, ma che in me riporta alla mente certe riletture fatte negli anni 80 da gente come Bevis Frond o gli australiani The Moffs.
Faces in definitiva non è solo una nuova raccolta di canzoni di un gruppo che ha alle spalle un passato glorioso ma, e la vera sorpresa è proprio questa, che riesce a spostare l’asticella ancora un gradino più su e che frinirà per porsi tra i vertici di tutta la produzione dei Cheap Wine. Il disco distribuito da IRD è già disponibile sul sito della band www.cheapwine.net



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