Il Mediano di Mauthausen (Diarkos) recensione


Da qualche giorno è in libreria edito da Diarkos , Il Mediano di Mauthausen prima opera letteraria firmata da Francesco Veltri. Il libro racconta la vita a tratti esaltante ed a tratti drammaticamente tragica di Vittorio Staccione calciatore che ha vestito le maglie del Torino, con il quale si è laureato campione d’Italia nella stagione 1926-1927 e poi passato con alterne fortune nella Cremonese, la Fiorentina, il Cosenza ed il Savoia.
Scoperto da bambino su di un campo di periferia in un pomeriggio d’inverno del 1915, dal capitano granata Enrico Bachmann, vive gli anni dell’adolescenza nelle giovanili della squadra, alternando la scuola e l’apprendistato da operaio, con gli allenamenti che lo porteranno giovanissimo a farsi strada sino a raggiungere un posto in prima squadra.
Figlio di una numerosa famiglia operaia, che seppure in ristrettezze economiche non ha mai contrastato il sogno di uno dei suoi figli, Staccione coltiva accanto alla passione sportiva, quella politica sulla spinta del fratello maggiore Francesco. Insieme militeranno prima nel partito socialista e poi, dopo l’avvento di Mussolini, in quello comunista, per essere sempre dalla parte degli operai, degli sfruttati e di tutti coloro che hanno sete di giustizia.
Dapprima la Grande Guerra e poi l’avvento del fascismo indirizzeranno la carriera e la vita di un uomo tanto mite al di fuori del campo da gioco, quanto arcigno combattente all’interno di esso, verso una spirale che non gli risparmierà alcun tipo di dolore. Dalla morte della figlia e della giovane moglie subito dopo il parto, fino alla deportazione nel campo di concentramento di Mauthausen dove troverà una tragica morte il 16 marzo 1945 poche settimane prima che la stessa sorte tocchi anche all’amato fratello Francesco.
La storia di Vittorio Staccione si lega a quella del Cosenza Sport Club nel 1931 militandovi per tre stagioni con alterne fortune. Sono gli anni della presidenza dell’Avv. Tommaso Corigliano e di una città in continua trasformazione sotto la guida del Podestà Tommaso Arnone che fece costruire in quell’anno lo stadio Città di Cosenza che in seguito diventerà l’Emilio Morrone dove sono cresciuti generazioni di giovani calciatori cosentini.
Le persecuzioni fasciste non lo abbandoneranno neanche in terra bruzia facendo maturare in lui il ritorno a casa dopo una breve parentesi al Savoia di Torre Annunziata e la fine del sogno da calciatore.
Il lavoro di ricerca e ricostruzione storica, svolta da Francesco Veltri insieme a Federico Molinario pronipote di Vittorio Staccione e nipote diretto del fratello più piccolo del protagonista, Eugenio anche lui calciatore, primo portiere ad avere militato sia nel Torino che nella Juventus, viene raccontato con una prosa agile e scorrevole che avvinghia il lettore come in un romanzo e racconta soprattutto un calcio romantico e così lontano nel tempo fatto di sacrifici e poche soddisfazioni, ma anche una storia di resistenza da mantenere viva nel ricordo ancora oggi.
Il pregio del libro di Veltri è proprio quello di raccontare il calcio pioneristico dei primi anni del XX Secolo, non solo attraverso le gesta del protagonista, quanto anche la sua evoluzione ed il legame sempre crescente con la società di allora. La prosa per nulla enfatica racconta il sogno di un ragazzo e la sua tenacia nel difficoltoso percorso che lo ha portato a realizzare, ma racconta anche di come l’evoluzione del nostro Paese attraverso la nascente epoca industriale, aumentava ancora di più le differenze di classe e di come, il protagonista, teneva sempre ben presente le sue umili origini e la voglia di battersi per la giustizia sociale, attraverso l’impegno politico condotto spesso in clandestinità.
Il racconto che Francesco Veltri trae dalla ricerca storica, si carica di drammaticità pagina dopo pagina, sia per i soprusi subiti dal protagonista, anche quando formava il suo carattere sportivo, passando dal suo essere un fantasma nelle cronache sportive dell’epoca, soprattutto nell’anno in cui militò nella Cremonese, con il suo nome sostituito da un’anonima X, passando per la tragedia familiare che gli portò via moglie e figlia, segnandolo negli anni a venire sino ai patimenti nel campo di concentramento nazista.
Vittorio Staccione non viene raffigurato come un eroe romantico, altro pregio del libro, ma per quello che realmente era, un uomo buono che non riesce ad immaginare il male, neanche quando questo gli si manifesta attraverso i pestaggi subiti dagli squadristi fascisti, oppure quando la carriera subisce i passi indietro per via del suo impegno politico. fino ad arrivare ad arrendersi all’evidenza della ferocia che i nazisti mettevano in atto nel campo di Mauthausen.
Raccontare la storia di un calciatore-resistente come Vittorio Staccione, legato ai valori profondi della giustizia sociale, dei diritti e dell’uguaglianza, rappresenta un valore aggiunto nell’editoria sportiva, perché non celebra un campione di secondo piano, ma un italiano di cui andare fieri ancora oggi.




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