Recensione - Belle & Sebastian "Late Developers" (matador, 2023)


 

I Belle and Sebastian, nonostante abbiano sempre prodotto musica secondo il linguaggio indie-pop più accessibile, sono rimasti una band di culto che ha profondamente segnato il decennio a cavallo tra seconda metà degli anni Novanta e quelli che hanno dato vita al nuovo secolo. Anni davvero belli contrassegnati da dischi di grande spessore come “Tigermilk”, “If You're Feeling Sinister”, “The Boy With The Arab Strap” e “Dear Catastrophe Waitress” che hanno consolidato una fama che non è mai scemata nei due decenni successivi, sebbene gli album prodotti non abbiano raggiunto i vertici degli esordi, ma non hanno neanche evidenziato un calo qualitativo che poteva anche essere fisiologico. Proprio il ritorno sulle scene con l’album dello scorso anno “A Bit of Previous” evidenziava che la lunga pausa discografica (sette anni) non aveva nuociuto all’ispirazione di Stuart Murdoch e compagni. Un discorso che si può trasferire pari pari anche a “Late Developers” visto che questo nuovo disco è frutto delle stesse session del precedente, sebbene non possa considerarsi come una facciata b del precedente, tanto che riprende anche alcuni brani composti all’epoca degli esordi come “When The Cynics Stare Back From The Wall” contraddistinta da un bel duetto vocale  tra Murdoch e Tracyanne Campbell dei Camera Obscura.
Come sempre accade nei dischi dei Belle and Sebastian, le canzoni risultano gradevoli all’ascolto seppure trattino temi non proprio leggeri, rimarcando una cifra stilistica ben consolidata.
“Late Developers” mostra una struttura molto variegata nei suoni con un crogiuolo di stili abbastanza slegati gli uni dagli altri, ma tutti trattati con estrema leggerezza per adattarli alla propria indole. Ecco allora che la title-track gioca con mambo e soul, l’incedere funk emerge in “Do You Follow”, le chitarre dirompenti in chiave psych caratterizzano “So In The Moment” e si alleggeriscono in chiave pop nella deliziosa “Give A Little Time”. Per il resto ci si trova davanti a brani più ("The Evening Star") o meno riusciti (“When We Were Very Young”), anche se i ripetuti ascolti, necessari per far crescere il gradimento del disco, possono migliorare il giudizio su ogni singolo brano.
Il vero punto interrogativo di Late Developers è rappresentato dal singolo scelto per presentare l’album, annunciato ad una sola settimana dalla sua uscita.
“I Don't Know What You See In Me” scritta dal produttore scozzese Peter "Wuh Oh" Ferguson, è un vero pugno nell’occhio per tutti i fans di vecchia data dei B&S, vista com’è farcita di sintetizzatori plastificati che vanno di pari passo con un coro accattivante perfetto per il pubblico di festival come l’Eurovision song contest. Un brano troppo atipico per una band dal suono estremamente riconoscibile anche in dischi variegati come questo.
Tornando alle cose positive da segnalare c’è la sempre più centrata versione da cantante di Sarah Martin sempre più a suo agio anche nel ruolo da “solista” che occupa in brani come “Give a Little Time”.
Come detto in precedenza Late Developers non è la seconda facciata di a Bit of Previous, ma come il precedente, anche questo album mette a disposizione dell’ascoltatore il talento sorprendentemente versatile del gruppo, che sebbene non produrrà capolavori come nel passato, di sicuro continuerà a produrre canzoni particolarmente gradevoli all’ascolto.

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