Sotterranei Pop è stato per 17 anni e 8 mesi una trasmissione radiofonica quotidiana che andava in onda su di una radio locale calabrese. Su questo blog ne trovate parecchi estratti così come sul relativo canale You Tube. dal mese di maggio 2014 è rimasto solo un blog dedicato alla musica rock di estrazione indipendente con qualche digressione su temi che ritengo interessanti. Eliseno Sposato
Bad Religion, ristampati gli album “No control”, “Against the grain” e “All ages” (Epitaph Records)
I Bad Religion sono senza ombra di dubbio una delle
band californiane di maggior successo. Attivi dal 1981 quando pubblicarono il
seminale “How Could Hell Be Any Worse?” (Epitaph, 1981)hanno
saputo tracciare una strada innovativa che legasse il punk e l’hardcore attraverso
una via melodica in seguito imitata da tantissime altre band, ma che non hanno
mai raggiunto i vertici compositivi del duo formato da Brett Gurewitz e Greg
Graffin.
Sin da giovanissimi (il primo Ep e l’album d’esordio composti da poco più che
sedicenni) i due hanno saputo imporre una cifra stilistica dove sulle ritmiche
serrate e velocissime, impreziosite da stacchi e ripartenze furiose, vengono
innestate robuste liriche che rappresentano un valore aggiunto, per come
tendono a spingere l’ascoltatore a riflettere “sul mondo che lo circonda e
sul ruolo che ricoprono all’interno di esso”.
Dopo un secondo disco di matrice new wave, l’abiurato “Into The Unknow” (Epitaph,
1982) che rappresentò non solo un insuccesso commerciale per la casa
discografica fondata da Gurewitz per pubblicare i dischi dei Bad Religion, ma
anche la perdita di molti fan della prima ora.
Dopo che il gruppo venne messo in stand-by per qualche anno (Nel 1985 l’Ep “Back
ToThe Know” riporta in auge il nome dei Bad Religion), la svolta arriva
nel 1988 quando la band pubblica il primo di una serie di capolavori: “Suffer”
che avvia quello che può essere considerato il trittico d’oro della prima era
dei Bad Religion. Tra il 1988 ed il 1990 insieme a Suffer vengono
pubblicati due dei dischi che consegneranno il quintetto composto oltre che dal
chitarrista e produttore Mr. Brett e dal cantante Greg Graffin, il bassista Jay
Bentley, il batterista Pete Finestone ed il chitarrista dei Circle
Jerks, GregHetson, alla storia del rock. “No Control” (1989) e “Against The Grain” (1990) vengono
ristampati in questi giorni insieme alla raccolta “All Ages” (1995) che
raggruppa brani tratti dal primo album fino a “Generator” (1992), con
l’ovvia esclusione di “Into The Unknow”.
Nonostante gli studi accademici avessero portato Greg Graffin lontano da Los
Angeles, al suo rientro la band tornò n piena attività dando alle stampe quel
Suffer che li riportò al centro dell’attenzione della comunità punk rock.
Nonostante Mr. Brett fosse sempre più richiesto come produttore o ingegnere del
suono, i tempi erano maturi per dare un seguito al primo best seller di casa
Epitaph, con le idee ben chiare di non ripetere l’errore commesso tra il primo
ed il secondo album, ma di creare ancora un disco che doveva essere “veloce,
aggressivo e orecchiabile”.
“No Control” è proprio questo. Un’ideale prosecuzione di “Suffer”
con una title track potente scritta da Graffin che vuole rivolgere un monito di
stampo ecologista sui rischi che comportano i tentativi di modificare
l’ambiente. Prendendo spunto da una frase dello scienziato scozzese James
Hutton, precursore della geologia moderna, Graffin crea un cortocircuito tra la
prospettiva umana molto cupa del “No Control” e quella liberatoria del geologo:
“non c'è traccia di un inizio/nessuna prospettiva di fine/quando ci
disintegreremo tutti accadrà di nuovo”. Il disco è ricco di canzoni
memorabili come “Automatic Man” un brano che parla della quotidianità e di
alcuni elementi di automaticità di cui spesso non ci rendiamo conto.
“I Want To Conquer The World” un pezzo satirico con Gurewitz che spiega: “è una
critica ironica del nazionalismo, dell’idea di machismo e del patriarcato”. Ma
tutto il disco è infarcito di canzoni memorabili come “Change Of Ideas” un inno
alla rivoluzione fatta attraverso le idee, i pericoli annessi alle infide
promesse del progresso (“Progress”) il male oscuro della società moderna
(“Anxiety”) o la conclusiva “The World Won’t Stop”.
Il passo successivo è rappresentato da “Against The Grain” un disco che
arriva dopo le prime tournée in Europa ed un successo che si amplia sempre di
più. Dopo avere creato due dischi dal suono immediatamente riconoscibile ed
intercambiali tra di loro, per numero di canzoni e tempi di durata molto
simili, con testi pieni di cose da dire.
Bisognava allora cercare di diversificarsi all’interno di un format che non
stravolgesse i canoni della loro musica come accaduto con “Into The Unknow” che
aleggiava nelle loro menti come un fantasma. Soprattutto dal punto di vista dei
contenuti letterali, mentre Graffin rimaneva ben saldo sulla sua cifra
stilistica, Gurewitz cercava una via più semplice per dire le cose senza
costringere gli ascoltatori a fare ricerche complesse per interpretare i testi.
Voleva rendere più poetiche le sue liriche come facevano alcuni dei suoi autori
preferiti come Elvis Costello, Bob Dylan, Joe Strummer e Bernie Taupin.
Il risultato fu eccellente a partire proprio dalla canzone che dà il titolo
all’album. Un brano che parla delle difficoltà di resistere nelle proprie
convinzioni quando queste sono contro il pensiero mainstream.
In quest’ottica si può inquadrare perfettamente il brano “Anesthesia” ispirato
a Watching Detectivies di Costello che Mr. Brett definisce come “una
canzone che avesse un testo con diversi piani di significato”. Un brano che
parla della droga e della “forza ammaliatore della tossicodipendenza”. Ma la
canzone racconta anche la storia di una donna e può essere intesa come il
racconto di un giallo con omicidio.
Graffin da par suo continua a scrivere canzoni efficaci come “Modern Man”
violenta invettiva contro il modo con cui la modernità ha contaminato il
pianeta. Ma anche brani controversi come “God Song” dura invettiva
contro la religione in cui in seguito ammetterà di essersi spinto troppo oltre
quando capì che “ridurre la religione a qualcosa di piccolo ed insignificante,
avrebbe diminuito la forza contestatrice del brano”.
ma più di ogni altro “Against The Grain” verrà ricordato per la presenza di una
delle maggiori hit del catalogo dei Bad Religion: “21st Century (Digital
Boy)”. Un brano lento sullo stile di “Sanity” o “Along The Way” con in più
un ritornello che non può che essere cantato in coro. Una canzone intrisa di
ironia e di immagini che catturano l’attenzione, mentre il ritornello (My
daddy's a lazy middle-class intellectual/My mommy's on Valium, so ineffectual”)
pur non riferito alla sua esperienza familiare erano frutto delle sue
osservazioni delle “distopie che vedevo nel mio mondo”. Altra curiosità del
testo è rappresentata dall’inserimento in esso dei titoli dei due album
precedenti Suffer e No Control quasi a dare un imprinting punk rock ad un brano
che tutto sembrava fuorché essere una tipica canzone punk dei Bad Religion.
Osteggiata dai suoi stessi compagni di band 21st Century (Digital Boy) è non
solo oggi immancabile nelle scalette dei concerti, quando suona molto più
attuale ai giorni nostri che non all’alba dei ’90 quando venne scritta.
La terza ristampa che oggi la Epitaph ha messo sul mercato è la compilation “All
Ages” pubblicata in origine nel 1995 per sfruttare la maggiore popolarità
ed il riscontro commerciale che il gruppo avrebbe ottenuto con il passaggio su
Major.
“All Ages” è un bignami della prima era dei Bad Religion con i suoi 22 brani
che coprono l’arco temporale che va da “How Could Hell Be Any Worse?” a
“Generator”. Quindici anni di carriera condensati in una sorta di greatest hits
con i brani non riportati in sequenza temporale, ma mischiati tra di loro per
dare risalto anche a brani importanti della prima ora come “Fuck
Armageddon…This Is Hell” e “Along The Way” così come singoli di
successo come “Atomic Garden” che descriveva i pericoli della
proliferazione nucleare con il pericolo che la disgregazione dell’impero
sovietico poteva creare se il suo arsenale finiva in mani sbagliate. Accanto ad
esse anche “Generator” che darà il titolo al seguito di “Against The
Grain” con un testo di Gurewitz che parla di Dio e lo illustra con undici
diversi paragoni con espressioni altamente poetiche.
“All Ages” può essere il giusto mezzo d’introduzione a questa fantastica band
che più di ogni altra a saputo tracciare una strada che molti hanno seguito
ricavandone magari anche un maggiore
successo commerciale, basti pensare a gruppi come Offspring, Green Day, NOFX e
Rancid, ma che non ne hanno mai potuto eguagliare lo spessore artistico.
Le citazioni presenti nell’articolo sono tratte da: “Do What
You Want – La Soria dei Bad Religion” di Jim Ruland e Bad Religion (ed.italia
Sabiri editore, 2020)
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Chiudiamo le classifiche annuali con questa speciale Top Ten dedicata ai singoli arrivata dalla lontana Australia, che hanno impreziosito i nostri ascolti del 2024. 1. THE JUDGES - Guns (ANTI FADE records/Drunken Sailor Records) Dopo l'ottimo disco d'esordio pubblicato nel 2023, il quintetto di Melbourne propone questo singolo esplosivo con la title track, "Guns" , una dronante meditazione groove sul traffico internazionale di armi, l'imperialismo, la guerra e l'assoluta inutilità/utilità (?) di usare il Rock & Roll come arma contro l'establishment che probabilmente ne ha creato e favorito la crescita. E "(The People Want A) Show" , un numero uptempo neo-proto-punk che ha come tema il desiderio intrinseco delle masse indifferenti di consumare all'infinito mezzi di intrattenimento di ogni tipo, compreso il già citato formato del Rock & Roll. 2. STIFF RICHARDS - GFC/Empty Barrels (Legless/Drunken Sailor Records) Dopo un silenzio lung...
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