Best of Aussie Rock Albums 2024
Il 2024 appena concluso si è rivelato come una buona annata
per il rock australiano, che in questi anni è tornato all'attenzione del
pubblico internazionale, se non come ai livelli della seconda metà degli anni
Ottanta, ottenendo una discreta visibilità.
Rispetto a quegli anni seppure la visibilità dei gruppi sia
maggiore, grazie alla rete che permette di raggiungere ogni angolo della terra
con un click, lo stesso non si può dire per ciò che riguarda la distribuzione
discografica che molto spesso non raggiunge con continuità i paesi extra
oceanici.
In quest'ottica risulta evidente che ci sia un gap rispetto
agli anni Ottanta, che viene compensato in parte con le piattaforme digitali
tipo Bandcamp, Spotify ecc.Ciò nonostante, per quello che abbiamo potuto
ascoltare diversi degli album che seguono, sono arrivati anche a primeggiare
nella nostra classifica generale che potete leggere qui.
Quella che segue è la classifica dei migliori album del
cosiddetto “Aussie Rock” filtrato naturalmente secondo il nostro gusto
personale, da prendere come sempre come un invito all'ascolto di musica che
riteniamo essere degna di essere ascoltata.
1 - CUTTERS - Psychic Injury (Legless/Drunken Sailor Records)
L’attesissimo album d’esordio del quartetto di Melbourne si
è rivelato aderente alle aspettative. “Psychic Injury” è un ferocissimo assalto
sonoro punk/hardcore con testi altrettanto rabbiosi contro il sistema e la
moderna società australiana ma che sono mutuabili in ogni paese. Un invito a
restare vigili perché “il futuro si prospetta più cupo della sala fumatori di
un aeroporto”.
2 - CHIMERS – Trough Today (Poison City Records)
Il secondo album del duo di Wollongong (sempre Australia)
conferma quanto di buono prodotto in precedenza, con il loro sound poco
australiano, fatto di chitarre dissonanti, linee di batteria fuori dal coro,
melodie difficili da dimenticare.
“Through Today” è un grande album, con una struttura molto ben
articolata che dall’inizio alla fine si dipana in maniera netta senza mai
indugiare alla tentazione di arricchirlo di inutili orpelli. Alle volte bastano
due soli strumenti per scrivere del grande rock’n’roll.
3 - AMYIL & THE SNIFFERS – Cartoon Darkness (B2B Records/Rough Trade/Virgin)
Per Amyl Taylor e compagni è arrivato il momento di compiere
il definitivo salto di qualità e raggiungere quella popolarità che travalica
l’ambito underground. In questo senso “Cartoon Darkness” è un disco perfetto
per questo scopo, visto che la band australiana ha compiuto un deciso passo in
avanti nella fase di scrittura delle canzoni. I cambiamenti climatici,
l’intelligenza artificiale, la politica e i Big Tech, ma anche l’odio che
prolifica nell’anonimato del web, la visione femminista del mondo che la Taylor
mette nei suoi testi, sono al centro di un disco che si evolve dal punk per
andare verso una visione moderna del rock, per non restate soffocati nel genere
di partenza e per rispondere all’ottusità di chi li accusa di essersi “svenduti
troppo presto”.
4 - SPLIT SYSTEM – Vol. II (Legless/Goner/Drunken Sailor)
Il secondo album del supergruppo di casa Legless, mantiene
le aspettative create con le precedenti uscite, mettendo in fila undici brani
al fulmicotone dove il proto punk ad alta energia si fonde in maniera mirabile
con il migliore garage rock immaginabile, senza disdegnare di infarcire le
canzoni di pregevoli ganci melodici ascrivibili al migliore power pop. Vol.2
mostra la capacità degli Split System di creare musica rock urgente e
orecchiabile che rende omaggio all'eredità del punk e della primigenia storica
scena Aussierock, assegnando agli Split System
un posto di rilievo in quella dei giorni nostri.
5 - POND – Stung! (Spinning Top Music)
Il decimo album dei Pond è un disco che ha bisogno di essere
ascoltato più volte per essere assimilato in pieno, ricco com’è di canzoni
complesse e di sonorità differenti che si susseguono: dalla psichedelia al
dream-pop, passando per brani ricchi di groove funky, ed approdare anche ai
lidi del power pop. E se la musica ha davvero tanto da dire, non dimeno sono i
testi che Allbrock propone ricchi di un’inquietudine che spesso contrasta con
la solarità dei suoni. Con “Stung!” i Pond offrono una prova significativa
della loro crescita artistica, mostrando di avere una spiccata capacità
creativa tesa a realizzare musica avvincente che seppure sia ricca di
riferimenti classici, non risulta mai stucchevolmente derivativa.
6 – REYEL OTIS – Pratts & Pain (Ourness)
Con un album d'esordio e oltre 100 concerti a loro nome nel
2024, i Royel Otis sono da annoverare tra gli artisti più significativi
dell'anno. Il duo australiano Royel Madden e Otis Pavlovic si è fatto un nome
con un vivace pop chitarristico che non cerca mai di prendersi troppo sul
serio. Tuttavia, se si scava sotto la superficie dell'album - le brevi grida di
distorsione in "Adored"; il pianoforte sgangherato che tiene il ritmo
in "Velvet" - si può vedere la coppia che si spinge oltre la propria
zona di comfort. C'è un senso di avventura in tutto l'album - "Foam"
prende spunto dal pop psichedelico degli MGMT dell'epoca di
"Congratulations", mentre la più chitarristica "Daisy
Chain" sembra più vicina ai Dinosaur Jr. Con tanti altri riferimenti
presenti nelle varie canzoni dell’album è facile immaginare che la band possa
finalmente raggiungere il mainstream con questo ottimo debutto.
7 – THE BEASTS – Ultimo (Slick Productions)
I Beasts comprendono ex membri dei Beasts of Bourbon e sono stati concepiti per registrare un'ultima volta con uno Spencer P Jones malato e onorare il bassista Brian Hooper, deceduto. L'album "Still Here" è stato prodotto e portato in tour prima che i Beasts perdessero il batterista Tony Pola, anch'egli malato di cancro. Riunirsi nuovamente con il batterista fondatore dei Beasts of Bourbon James Baker, anch'egli malato terminale, e fare altri concerti è stato un modo per unire i punti storici e tenerlo sul pianeta. “Ultimo” come nel caso degli X non è il capitolo definitivo dei Beasts of Bourbon all'apice del loro temibile "Low Road", ma di The Beasts che mettono a punto una nuova serie di canzoni. I Beasts non si discostano troppo dalla band che li ha preceduti, ma sono un gruppo diverso e unico a modo loro. Le canzoni riflettono sullo stato del mondo sono intervallate da osservazioni sullo stato dell'uomo, e traspare un umorismo cupo
8 – WESLEY FULLER - All Fuller No Filler (Cheersquad Records & Tapes)
Sette anni dopo il suo disco d’esordio “Inner City Dream” Wesley Fuller, torna con un album che certifica quanto il suo songwriting sia migliorato in modo esponenziale. All Fuller, No Filler, esprime al meglio la sua ragione d'essere. Il disco è un mirabolante esempio di power pop australiano con solide basi poggiate su fiire degli anni ’70 con canzoni ricche di ganci melodici, ritornelli irresistibili e orecchiabili intrisi di armonie coinvolgenti e cori meravigliosi.
9 – DRUNK MUMS – Beer Baby (Legless)
Dopo una pausa di quattro anni, i Drunk Mums sono tornati con un grande disco punk-rock che rafforza la forza della scena australiana.Come molti colleghi contemporanei anche i Drunk Mums associano un punk rock all’apparenza scanzonato ma ricco di prese di posizione sul grigiore della società quotidiana difficili da ignorare.
I Drunk Mums siedono su uno sgabello da bar a metà strada tra il punk ispirato ai pub e il garage rock. Pensate a Radio Birdman e ai The Hives, ma con momenti di cui Jay Reatard sarebbe orgoglioso. Con il pensiero razionale violentemente vomitato fuori, ci rimane più spazio per le decisioni da ubriachi, per le scelte divertenti e per un completo senso di libertà incondizionata.
10 – THE UNKNWONS – East Cost Low (Drunken Sailor Records)
Nati nel 2014, i The Unknowns si sono recentemente trasformati da trio a quartetto, migliorando ulteriormente il loro rock arruffato e il loro peso nel settore, con l'ingresso ufficiale di Eamon Sandwithe Tom Hardy dei The Chats.
Non sorprende che, viste le precedenti uscite del gruppo e il loro stretto legame con i Chats, con cui anche i membri dei The Unknowns sono cresciuti, le vibrazioni punk e garage siano forti in questo nuovo album. Un viaggio di 10 tracce attraverso un rock'n'roll allegro e tumultuoso, East Coast Low non reinventa nulla di quello che è già stato scritto da band del calibro dei Ramones, dei The Meanies, dei Cosmic Psychos o di qualsiasi altra band che orbiti in quelle vicinanze; ma una cosa in cui i The Unknowns sono diabolicamente abili è scavare nella vostra serotonina e trasportarvi nel loro mondo sonoro allegro e in levare, e in questa cavalcata nostalgica ci riescono in pieno.
11 – LITTLE MURDERS – Under Northern Lights (Off The Hip)
Dopo nove album in studio, i Little Murders potrebbero aver messo a segno questo colpo rock-pop. Ancora una volta. “Under Northern Lights” mette in mostra ciò che il cantautore, leader della band e unico membro costante Rob Griffiths e la sua attuale, e più duratura, formazione sanno fare così bene.
“Under Northern Lights” è costituito da 11 canzoni pop alimentate da licks di chitarra rock dalle sfumature blues e colorate da vagonate di melodia.
12 – SHUTDOWN 66 – I Wish It Could Be SHUTDOWN 66 (again) (Sound Flat Records)
Gli SHUTDOWN 66 celebrano il loro
"Return from Dumpsville" e tornano sulla Soundflat Strip vent'anni
dopo il loro ultimo segno di vita. In qualche scantinato di Melbourne, Nick
Phillips deve essersi imbattuto in nastri master inediti dei primi tempi della
band, che non hanno nulla da invidiare agli album pubblicati dagli
ex-BREADMAKERS/HEKAWIS tra il 1998 e il 2004 su Corduroy Records. La formazione
originale celebra il classico R&B degli anni Sessanta e il neo-garage punk
nello stile di Pretty Things, Missing Links e Miracle Workers, che irrompe in
modo così impetuoso da far dubitare della reale esperienza che si cela dietro
il nome della band.
13 – PROGRAM – It’s A Sign (ANTI FADE Records)
Si dice spesso che il secondo disco di una band sia di solito il più difficile, soprattutto se il debutto è stato un successo. Con il follow-up, invece, i musicisti devono trovare il modo di soddisfare il pubblico esistente, ma anche di far progredire il loro sound in modi nuovi ed entusiasmanti.
Avendo trascorso cinque lunghi anni per realizzare It's A Sign, non dovrebbe sorprendere che i risultati siano accattivanti. I Program riescono a rendere omaggio al suono del loro primo album, Show Me del 2019, senza essere troppo legati a quell'epoca. Questo nuovo album non è certo un rimaneggiamento del materiale precedente, ma accenna a nuove ed entusiasmanti direzioni sonore per il gruppo e abbraccia una gamma di stili musicali disparati. Per la maggior parte, la band di Melbourne sembra dedita a una sorta di rock slacker anni Novanta, ma in brani come “Sparks” e “Live Without” dimostra la sua profonda adorazione per il rock and roll retrò degli anni Sessanta.
14 – ALIEN NOSE JOB - Turns The Colour Of Bad Shit (ANTI FADE records/Total Punk/Drunken Sailor Records)
Jake Robertson rimane molto prolifico con il suo progetto Alien Nosejob, pubblicando nuovi album quasi ogni anno. Il suo settimo lavoro, “Turns the Colour of Bad Shit”, presenta ancora una volta un approccio tematico mirato: l'ispirazione è il punk degli anni '70, in particolare quel momento cruciale in cui il genere si è diviso, con alcuni che si sono diretti verso la New Wave e altri che hanno virato verso il metal. L'artista australiano dimostra ancora una volta la sua straordinaria sicurezza nel padroneggiare questi stili.
L'album si muove perlopiù in modo freddo e lo-fi, esplodendo di tanto in tanto in ganci orecchiabili o assoli di chitarra selvaggi.
15 – PHIL AND THE TILES - Double Happiness (Legless)
Il loro sound di base è molto simile a quello degli Eddy Current Suppression Rings o degli UV Race - post-punk loquace con un po' di new wave e garage ai bordi - ma, con sei persone nella band, hanno un bacino di influenze musicali troppo ampio per poterlo ignorare. Così, si può trovare roba come la psichedelia operaia dei Cosmic Psychos, o brani in cui aumentano l'aggressività e la new-wave con risultati simili a quelli dei Lost Sounds, o anche un brano in cui riducono il loro suono tipicamente grande a qualcosa che si avvicina al funk punk minimale degli ESG.
16 – THE HARD-ONS - I Like You A Lot Getting Older (Cheersquad Records & Tapes)
Per celebrare il loro quarantennale di carriera gli HARD_ONS Pubblicano un album tanto variegato quanto divertente. Intriso di tutto quello che sanno fare: garage rock, punk, poower pop e persino indie rock con accenni new wave. Alcune canzoni sono davvero rocciose, altre un po' strane, tanto che "I Like You A Lot Getting Older" ha bisogno di qualche ascolto prima di rivelarsi completamente all'ascoltatore incline. Come spesso accade con gli HARD-ONS, questo album è accompagnato da un'iconica copertina disegnata dal bassista Ray Ahn, che riprende il motivo dell'album di debutto "Smell My Finger" e lo catapulta nell'anno 2024.
17 – JOHNNY CASINO – High Stone (Folc Records)
Avendo amato alla follia una band come gli Asteroid B-612 è inevitabile seguire passo dopo passo la carriera dei suoi componenti che continuano a pubblicare dischi di ottima qualità. Sebbene John A. Spittles non viva più in Australia da tempo, i suoi dischi rimangono comunque intrisi di quella cultura sonora. Quest’ultima uscita con il solito moniker di Johnny Casino parte da lontano, quando viveva a Philadelphia tra il ’97 e il 2001. Canzoni dunque scritte in quel periodo e influenzate dalla collaborazione con il gruppo locate The Apostles guidati da Jamie Mahon che produce l’album.
Il disco è frutto di varie infleunze dal clasico Ausiie rock, al Paisley Underground, passando per i Byrds di cui riprende il classico Eigh Miles High, oppura viaggiare dalle parti di Patti Smith. Un gran bel disco di rock totale.
18 – SHOVE – Agency (Rack Off Records /Drunken Sailor Records)
Gli Shove, band hardcore australiana, hanno l'attacco punitivo del thrash giapponese degli anni '80. Crudo e brutale. Una batteria veloce e ferocemente percossa e un basso distorto in primo piano. Feedback stridente e riff veloci di chitarra. Brevi e taglienti grida di parole senza una parvenza di melodia, solo rabbia piena, punteggiata da qualche urlo. “Agency” recita il comunicato di presentazione è “è una raccolta di brani che ruotano attorno a temi di distorsione sociale e dislocazione mentale. Mettendo in discussione un mondo governato da un'indifferenza rivoltante e da una violenza opprimente, dal punto di vista lirico e sonoro protesta contro la piaga universale del patriarcato e sfida l'autocompiacimento - sia sociale che interiore”.
19 – PLEASANTS - Rocanrol In Mono (Under The Gun Records)
Ecco un’altra band australiana che contrassegna il mondo del punk rock moderno! I Pleasants provengono da Perth e hanno pubblicato diversi singoli di rilievo negli ultimi due anni. “Rocanrol In Mono” è l'atteso album di debutto scritto, suonato, registrato e mixato da un solo individuo, il signor Al Uminium che altri non è che Alex Patching batterista che si divide tra gli Aborted Tortoise e i Ghoulies. Mescolando l'energia grezza dell'Aussie garage punk con elementi punk e un classico approccio punk al songwriting, questo disco mantiene le promesse dei singoli. Queste canzoni sono orecchiabili, strane nel miglior senso possibile, e semplicemente molto belle. Rocanrol In Mono si aggiunge a una lista in rapida crescita di grandi album punk pubblicati quest'anno.
20 – THE TERRYS – Skate Pop (Impressed Recordings)
I Terrys sono tornati con il loro attesissimo secondo album, “Skate Pop”, che segna una trionfale evoluzione del loro sound. Skate Pop” non è solo un album, ma una testimonianza della creatività senza limiti dei Terrys. Da brani pronti per i festival come “No Bad Days” a brani introspettivi come “Daisy's Drop”, l'album cattura l'intero spettro di emozioni che definiscono il viaggio della band. Musicalmente vario e ricco di temi, “Skate Pop” mostra la capacità dei The Terrys di trascendere i generi e di connettersi con gli ascoltatori a livello personale. La guida esperta del produttore Chris Collins, unita all'approccio disinibito della band, ha dato vita a un disco coeso e accattivante.
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