Leadfinger: Eroi del venerdì sera, storie di (stra)ordinario rock australiano

Dopo la grande visibilità avuta nel corso della seconda metà degli anni ottanta, grazie alle produzioni discografiche di gruppi come
Celibate Rifles, The Scientists, Midnight Oil, Died Pretty, Hoodoo Gurus, The Triffids, Moffs, The Stems, The New Christs, Hard-Ons, Beasts of Bourbon e molti altri, il rock australiano ha vissuto anni di parziale oblio, non venendo più attenzionato dalla critica specializzata, se non attraverso pochi irriducibili appassionati dell’Aussie-rock
Eppure in tutti questi anni non sono mancati esempi di produzioni che hanno riguardato alcune storiche formazioni della prima ora, come i gloriosi Radio Birdman o The Saints, il Nick Cave diventato artista di fama mondiale, ma anche tanti nomi della seconda onda che hanno tenuto alto il vessillo del rock della terra dei canguri, in attesa dell’ondata del nuovo millennio che oggi porta il nome di gruppi come The Chats, RVG, Rolling Blackouts Coastal Fever, Primo! che insieme ai Datura 4 dell’ex Stems  Dom Mariani hanno pubblicato in queste ultime settimane dischi davvero interessanti, tesi a consolidare la tradizione del rock australiano, seppure attraverso sonorità, in alcuni casi, molto diverse.

Nell’era di mezzo si è sviluppata tutta la carriera di Stewart ‘Leadfinger’ Cunningham che ha attraversato tutti gli anni novanta militando in formazioni seminali come i Proton Energy Pills, Brother Brick, The Yes-Men, Challenger 7 e soprattutto Asteroid B-612. In tutte queste formazioni Cunningham ha sfogato la sua rabbia giovanile attraverso il più classico hi-energy r’n’r che ha le sue radici ben piantate nella Detroit di MC5 e The Stooges, con un particolare riguardo al songwriting dei connazionali The Saints
Conclusa l’esperienza con gli Asteroid B-612, Stewart Cunningham sente la necessità di formare una nuova band che avesse un suono diverso e più adatto al suo sentire dell’epoca. In un’intervista rilasciata al sito australiano I-94 Bar, Cunningham spiega che aveva in testa un’idea di suono “super originale e ogni canzone sarebbe stata in questa accordatura di chitarra alternativa, mescolando blues, slide e riff sonici, overdrive pesanti e feedback ecc. Con voce melodica ... quando ci penso trovo che fosse una buona idea, ma in realtà non è mai andata così”(Edwin Garland, I-94 Bar, Nov. 2016).
Messa in piedi la prima formazione dei Leadfinger insieme a Steve O’Brien alla batteria e Wayne Stokes al basso, le cose non vanno per come sperato complice il fatto di mettere insieme un set di canzoni da proporre negli spettacoli dal vivo ed i limiti di tempo hanno minato l’idea originale, tanto che nei tentativi di sperimentazione si è insinuato un suono rock più classico che ha indirizzato il percorso su strade diverse.
Nel 2007 l’etichetta spagnola Bang! Records venuta a conoscenza del nuovo progetto discografico di Cunningham, si offre di pubblicare quelli che in realtà sono poco più che dei demo. Il disco d’esordio dei Leadfinger, “The Floating Life” deve essere considerato un vero e proprio album solista del suo autore e si presenta come un quadro intimo e privato che mette in mostra, seppure in embrione, quello che si rivelerà a breve essere uno dei migliori songwriter del rock australiano.
A partire dalla bellissima foto di copertina, che sembra quella di "Nebraska" ma aperta nell'infinito paesaggio australiano, si percepisce l'atmosfera di questo album: intimo e personale, a tratti rarefatto con bagliori occasionali di power pop. L’amico Roberto Calabrò (questo il suo sito), grande esperto ed amante dell’Aussie-rock, sempre sulle pagine del citato i-94 Bar scrive di “The Floating Life”"Molti umori convivono nella tessitura dell'album: se l'iniziale "Went Looking" - solo per chitarra acustica e voce - è quanto di più personale ci si possa attendere, la splendida "Edge of Suburbia" è un episodio delicato e intimista, dagli aromi blues. La celebrazione della solitudine come luogo dell'anima: "I got lost in suburbia/hanging out at the edge of the world/They can't find me here in suburbia.../I'm at the end of the world".
In "Thin Lizzy" Stew riprende la sei corde elettrica per regalarci un altro dei suoi imbattibili frammenti power-pop, dedicato stavolta a un suo idolo di gioventù: Phil Lynott.
La romantica "Boo Radley" cede il passo all'atmosfera rarefatta e desertica di "Back in the Burgh", mentre "So In A Hurry" è un'incredibile ballata dalle sfumature psichedeliche.
Con "The Sydney Way?" Leadfinger dà un po' di gas al disco con un brano ravvivato da una sezione ritmica e dai guizzi della sua chitarra. "Bicycle Man" è un divertissement acustico che prepara il terreno alla title-track - "The Floating Life" - ispirata all'opera del poeta australiano John Forbes. E anche questa sembra una potente dichiarazione dal profondo dell'anima: "I wanted to survive, I wanted to get high / I wanted to invite / I wanted to incite, I wanted just enough / I wanted to depart / I wanted to imbibe / I wanted to survive".
"The Philadelphia Ruse" si apre a spiragli di luce con uno splendido fraseggio chitarristico, ma è la conclusiva "The Music Had The Last Say" che ci regala uno dei momenti più ispirati dell'album. Un brano intenso, nella sua delicatezza elettro-acustica, dedicato all'amico e compagno di avventure Sean Greenway, prematuramente scomparso nel 2001.
Un altro prezioso tassello di un disco intimo e splendido". Parole da sottoscrivere in pieno. 
Se fosse stato lavorato in studio probabilmente avremmo oggi una versione molto diversa di “The Floating Life” ma le pressioni della Bang! Records hanno dato nel 2007 l’avvio alla carriera dei Leadfinger, che si trova a “sfruttare” un’altra occasione appena un anno dopo quando a Cunningham e soci viene offerta la possibilità di sfruttare gratuitamente in un fine settimana uno studio di registrazione situato in una vecchia fattoria sulla costa meridionale del New South Wales.  Ma prima di dare alle stampe il secondo album “The Rich Kids” l’etichetta Music Farmers di Wollongong, sobborgo di Sydney e base operativa dei Leadfinger,
immette sul mercato “Trough The Cracks” una compilation di otto brani   che mostra le diverse anime sonore dei Leadfinger. Aperto da "That Rock 'n' Roll Sound", outtake del repertorio dei Challenger 7, un classico apripista power pop, cui si affiancano due brani ripresi dal primo disco “The Edge Of Suburbia” e “Bycicle Man”, una splendida cover di “Melt” dei Some Lovers, la splendida "See You Tonight” che arriva dal repertorio dei Brother Brick, due nuovi brani “A Beautiful Sound” e “Makin Up Lost Time” che anticipano gli sviluppi futuri della band e la cover di un blues firmato Slim Harpo “The Hipshake” che mostra le radici comuni ad ogni rocker che si rispetti.

A dicembre del 2008 arriva sul mercato “Rich Kids” e ancora una volta i Leadfinger dividono le due anime della band nelle undici canzoni che lo compongono. Da un lato l’anima elettrica e scintillante negli episodi più marcatamente power pop di “Rich Kids Can’t Play Rock’n’Roll” e “Thin Lizzy On My Mind” con i loro ritornelli killer e le melodie che si fissano indelebilmente in mente, ballate visionarie come “Show You I Care” e brani intimi intrisi di poesia come “Northern Rivers Town”, e “I Went Searching”, che altri non è che una nuova versione di “I Went Looking” che apriva “The Floating Life” e che in questa nuova versione full band, mostra sfumature inedite.
Questo album rappresenta anche il canto del cigno della prima line-up dei Leadfinger che ha svolto un’attività abbastanza sporadica in concerto, ma che ha lasciato una traccia importante per quanto riguarda i lavori in studio. Così gli ultimi mesi del 2008 servono a Stewart Cunningham per mettere insieme una nuova formazione che dia un impulso maggiore non solo in fase di impegni live, ma anche sotto l’aspetto compositivo, anche se resta sempre lui a farsi carico della scrittura della maggior parte dei brani. 

Nella nuova line up dei Leadfinger, che diventa un quartetto, entrano Michael Boyle alla chitarra, Dillon Hicks alla batteria e Adam ‘Reggie’ Screen al basso. Il passo discografico successivo è l’album “We Make The Music” pubblicato dalla Impedance Records di Brisbane ed è frutto di un lavoro in studio durante il quale i nuovi componenti della band si sono dovuti immergere in una situazione nuova, visto che nessuno di loro, eccetto Stew, aveva ancora messo piede in uno studio di registrazione. Nonostante tutto ciò all’ascolto dell’album, non si percepisce alcuna difficoltà, anzi la band sembra messa ben a punto e focalizzata ad evolvere il suono dei Leadfinger che diventa sempre più rock, capace di spaziare in tutti i suoi sottogeneri senza avere paura di utilizzare strumentazioni acustiche come banjo, mandolino, dobro o miscelare sonorità diverse all’interno del disco. Per Cunningham si tratta di dare corpo ad un’esigenza vitale perché non sono più i tempi della rabbia giovanile, dell'urlare le canzoni al microfono per non farsi sovrastare dal suono potente sparato ad alto volume dagli amplificatori. 
Il blues fa capolino anche in questo album in brani palesi sin dal titolo, come “Eucalyptus Blues” o meno dichiarati come “Anthem For Unimpressed”. Cunningham mostra sempre di più la sua stoffa di grande songwriter sia quando si abbandona ai ricordi giovanili di “Forteen” oppure quando esamina il suo io profondo in brani come “No Reflection”.  Naturalmente non manca il marchio di fabbrica in brani dal sapore estremamente power pop come la title track o che rimandano al suo passato (“The Price You Pay”) ma tutto il resto dell’album offre spunti di grande interesse e mostra una band coesa che è padrona della sua fase di crescita e pronta a dare il meglio di se stessa negli anni a venire. 
Prima che finisca l’anno, i Leadfinger diffondono in versione digitale un nuovo EP dal titolo “I Belong To The Band” composto da sei brani che alternano originali e cover che omaggiano alcuni artisti amati da una band composta non solo di ottimi musicisti ma anche di grande appassionati di rock. Il disco si apre con “What Did You See In Me?” che ha chiari riferimenti agli Stones dei ‘70s ma strizza l’occhio anche un po' ai Kiss. “Can't Hardly Wait” è un brano scritto da Paul Westerberg dei Replacements, una delle tante fonti d’ispirazione di Cunningham. “December Runaway” è una ballata dalla melodia killer, cui segue l’omaggio a Rory Gallagher dal cui repertorio viene ripresa “Tattoo'd Lady” trasformata in un classico brano di Aussie-rock, mentre il “Leadfinger Theme” è puro Detroit sound al fulmicotone. La chiusura è affidata ad un classico del Rev Gary Davies: “I Belong To The Band” è naturalmente un atto di fede alla nuova realtà dei Leadfinger che arriverà ai giorni nostri. 
L’EP verrà anche stampato in sole 100 copie fisiche su cd, andate naturalmente esaurite in un batter d’occhio al banchetto del merchandising durante i concerti del 2012.
I tempi sono oramai maturi perché il nome dei Leadfinger raggiunga uno status di band di culto oltre i confini dell’Australia ed è inevitabile che le strade della band si incrocino con quella dell’etichetta discografica che più di ogni altra ha contribuito a scrivere la storia del rock australiano: la Citadel di John Needham. Nell’inverno del 2012 il gruppo entra negli Def Wolf Studios di Sydney per dare corpo alle canzoni che comporranno “No Room At The Inn”. Nonostanze un budget di soli 3.000 dollari australiani, che costringeranno a completare parte dell’album nello studio casalingo di Stew, dal nome che è tutto un programma (Leadfinger's Rendezvous Studio), il quartetto mantiene fede alla missione che si è data, vale a dire quella di pubblicare un disco che fosse migliore o almeno diverso, dei precedenti, continuando a perfezionare il songwriting delle canzoni, cercando   di  diventare musicisti migliori senza che venga mai meno l’aspetto divertente che si crea nei concerti. Non fossilizzarsi su tematiche e suoni, cercando di andare avanti e guardare al futuro con ottimismo. Il risultato è al dire poco magnifico e, per chi scrive, uno dei vertici assoluti della carriera di Stewart ‘Leadfinger’ Cunningham.

Il disco si apre con “You’re So Strange” una ballata mid-tempo in crescendo impreziosita dalla seconda voce di Chloe West, un brano che potrebbe ricordare i Rolling Stones del periodo “Let it Bleed” ma che mostra tutta la personalità compositiva di Cunningham. Il brano successivo “It’s Much Better” è una classica canzone suonata con il piede sull’acceleratore dal gruppo che non si fa in tempo a godersi che viene subito scalzato nelle preferenze da “Gimme The Future”. Il brano è sorretto dalla solida sezione ritmica di Dillon e Reggie, mentre le chitarre di Stew e Michael duellano e si sostengono a vicenda così come fanno le due voci di Cloe, qui più discreta e leggermente nascosta, e quella di Cunningham sempre più matura. Per gli oltranzisti del suono più duro c’è pronta “Cruel City”, uno dei vertici dell’album e vero e proprio anthem della band. 
A questo punto dopo un poker di canzoni del genere si potrebbe già consegnare “No Room At The Inn” alla gloria, ma il gruppo ecco che ti piazza “Lonely Road” ancora una ballata in crescendo con la chitarra di Boyle che tira fuori riffs spettacolari seppure mai sopra le righe. Una classica canzone rock che consegna il nome di Cunningham nell’olimpo dei maggiori compositori del rock australiano e non solo. “The Wandering Man”, “Pretty Thing” e la conclusiva “Don’t Think Twice” sono canzoni destinate ad essere apprezzate negli airplay radiofonici, capaci come sono di tirare fuori tutti i riferimenti palesi ed occulti che hanno influenzato il quartetto di Sydney: Flamin Groovies, il Blues, 
MC5, Sonic Rendezvous Band, The Saints, il Punk newyorchese, i Replacements e i Big Star. Oltre a molte cose oscure o anche mainstream come Springsteen, Hendrix, Zeppelin e Stones. 

Insomma, il mondo del rock che amiamo maggiormente. “The Other Ones” fa il paio con “Lonely Road” tesa ad aggiungere carattere ad un disco che non ci si stanca di ascoltare neanche oggi che sono passati quasi dieci anni dalla sua realizzazione. Il terzo capitolo dello strumentale “Segue”, presente anche nei due capitoli precedenti, prepara la strada alla title track giocata tra suoni acustici ed elettrici dove banjo e chitarre elettriche ed acustiche avvolgono l’ascoltatore in un godibile moto circolare. 
Prima della pubblicazione di “No Room At The Inn” nel febbraio del 2013, la band prepara un nuovo EP autoprodotto nelle solite 100 copie da vendere ai concerti e che rappresenta una sorta di anticipazione del nuovo disco.
“Ripped Genes & Analogue Dreams”
  è aperto da “Pretty Things” brano scritto sullo stile di “There She Goes” dei The La’s, cui si affiancano altri tre brani che non troveranno spazio sull’album targato Citadel: “Poor Man’s Boogie”, “Indian” e “Left Wing Yule” sono brani power-pop/rock'n'roll che innestano riflessioni politico sociali nelle tematiche dei Leadfinger e rendono omaggio nello stile a band e solisti come Flamin Groovies, The Replacements, Danny and the Champs, Tom Petty e The Smithereens! Accanto ad essi le cover di “All The Action” scritto dall'ex frontman di Flamin Groovies Chris Wilson come seguito al suo classico “Same Some Action”, “Laser Love” dei T. Rex di Marc Bolan e “Behind The Wall Of Sleep” degli Smithereens. Il disco è oggi reperibile sul Bandcamp della band, in versione completa mentre sul sito ufficiale a versione digitale è ridotta a cinque brani. 
Gli anni successivi alla pubblicazione di “No Room At The Inn” trascorrono tranquillamente con pochi concerti effettuati e molto lavoro in fase di composizione. Tutti e quattro i membri della band svolgono lavori differenti e si ritrovano nei fine settimana per provare nuove canzoni da destinare ad un nuovo disco, o per tenere qualche concerto per le platee australiane. Una situazione che avrebbe potuto disgregare la band molto facilmente, ma ciò non è avvenuto per il forte legame instauratosi tra di loro. Nella seconda metà del 2015 entrano nei Linear Recording Studio (Leichardt, NSW) per dare corpo ad un nuovo disco che verrà pubblicato l’estate successiva dalla Conquest Of Noise.
Il songwriting di Cunningham, fedele alla sua etica di progredire giorno dopo giorno e disco dopo disco, subisce un ulteriore grado di maturazione soprattutto dal punto di vista lirico. Diversamente dal solito Stew non adatta dei testi scritti in precedenza sui suoi preziosi taccuini e poi trasformati in canzoni in sala prove o studio, ma li scrive in contemporanea con la musica lasciandosi coinvolgere totalmente fino ad ottenere un risultato pienamente soddisfacente. Un’altra caratteristica diversa rispetto ai lavori precedenti è rappresentata, come sottolineato da diversi esponenti della stampa specializzata australiana, dal fatto che alcune canzoni hanno un tratto liricamente colloquiale australiano, ne catturano il gergo ma non in senso parodistico. Oltre ad avere un solido suono australiano che tocca maggiormente la sensibilità degli ascoltatori connazionali. Un tratto magari difficile da cogliere per noi europei che troviamo nelle canzoni dei Leadfinger il linguaggio universale del rock.

Nei mesi che hanno preceduto l’ingresso in studio per registrare le canzoni di “Friday Night Heroes” la band ha avuto tutto il tempo di affinare questo nuovo approccio alla composizione e rifinitura  dei brani, pur dovendo affrontare un momento difficile come la malattia e la morte della mamma di Stewart Cunningham, che non solo hanno rallentato il lavoro ma hanno portato lo stesso ad avere seri problemi di salute come da lui raccontato in un’intervista: “Mia mamma era malata e ho saputo che non le restava molto da vivere circa un mese prima che iniziassimo a registrare ... è una cosa piuttosto dura da mandare giù, ma abbiamo trascorso i 18 mesi precedenti lavorando a queste canzoni, la sessione era prenotata, lo studio è stato pagato, quindi sono andato avanti pensando / sperando che l'avremmo finito prima che se ne andasse, così avrei avuto il tempo di trascorrere con lei ... purtroppo non è andata così”. E prosegue dicendo: “La malattia si è evoluta molto velocemente, suppongo che sia stata una benedizione per lei, ma ha sorpreso tutti noi della famiglia. È stato un periodo di conflitto - cercavo di suonare la chitarra e cantare e pensare al disco che stavamo componendo, ed essere afflitto da mia madre. Non riuscivo a dormire a causa del dolore e alla fine ho avuto una grave infezione al petto, stavo sdraiato nel letto di notte e suonavo come un vecchio in fin di vita, avvertivo dolori atroci e potevo dormire solo da un lato ... quando è arrivato il momento di incidere la voce, ero così malato che non riuscivo a cantare. Pensavo che sarebbe passato in fretta, ma andava sempre peggio. Non riuscivo a incidere la voce per circa un mese e stavo faticando a tornare quello dell'inizio della sessione quando mi sentivo davvero fiducioso. Ho finito di registrare le mie parti vocali nello studio casalingo di un buon amico a Wollongong una volta che sono migliorato, e se ci ripenso, noto il modo in cui la band e tutti i soggetti coinvolti nel disco hanno contruibuito a realizzarlo, è stato davvero speciale, non poteva essere portato a termine facilmente”. (Edwin Garland, I-94 Bar, Nov. 2016).
Nonostante tutte queste difficoltà “Friday Night Heroes” è un gran bel disco, senza alcuna caduta di tono, coeso come il precedente e con una qualità delle canzoni  in alcuni casi di livello superiore. L’apertura è affidata a “Champagne & Diamonds” un pezzo sfrenatamente elettrico che sembra preso di peso dalla stagione d’oro del rock australiano di metà anni ottanta. “Heart On My Sleeve” è puro “Leadfiger style”, vale a dire l’attualizzazione dell’esperienza Brother Brick/Asteroid B-612/Challenger 7 nell’età matura, impreziosita anche dal sax di Doug Hazell e dalle linee di tastiera suonate dal cameo di Andy Newman (The Visitors/Decline of the Reptiles). “Mean Streak” ha il tocco inconfondibile della chitarra di Stew ed è sorretta anche dal backing vocals di Leah Flanagan, altro illustre ospite in studio. Come sempre Le ballate presenti nei dischi targati Leadfinger, fanno la differenza. Anche “Bite My Toungue” non si sottrae a dare valore aggiunto al disco, sorretto dalle line guida del pianoforte e con la chitarra di Micheal Boyle che traccia assolo discreti. Il brano parla di come sia difficile trovare il modo giusto per affermare il proprio io davanti a persone che sanno analizzare ogni situazione, solo attraverso il loro grado di giudizio inappellabile. E davanti a persone che hanno la verità in tasca, bisogna mordersi la lingua per trovare il modo giusto di smontare le loro convinzioni.
Il lato A si chiude con la dolorosa “Raining In The Dark” un brano che racconta la fine di una storia d’amore suonata e cantata con struggente anima dolente arresa all’inevitabile addio della partner: “Il nostro amore è morto e ora / Deve piangere da sola”.
"Older and Wiser" apre il lato b in maniera energica e mostra la compattezza di una band perfettamente rodata e coesa, nel pieno della sua maturità, come messo in evidenza anche dalla successiva “The Man I Used To Be” aperta da scintillanti chitarre jangle e che verrà anche pubblicata come retro del singolo “Cheer Squad” colpevolmente tenuta fuori dall’album. "Friday Night Heroes", è ancora una volta una grande ballata autobiografica sull’essere delle star del venerdì sera: eroi della classe operaia che cercano riscatto dopo la classica settimana lavorativa. “Aprreciate” è uno dei brani più orecchiabili del disco, un classico power pop suonato su registri acustici e che fa il paio con il brano conclusivo "My Own Road" , un brano molto springsteeniano che con leggerezza tratta dell’imminenza e dell’aspetto improvviso, ma anche ordinario, della morte, tema portante di un album che sì celebra la natura quotidiana del dolore e della morte, ma allo stesso tempo glorifica la vita.
Come detto in precedenza resta fuori dall’album “Cheer Squad” che a mio avviso rappresenta uno degli anthem dei Leadfinger: uno jangle power-pop da cantare a squarciagola che rappresenta in maniera sublime una sintesi perfetta di tutto ciò che il rock australiano ha prodotto dagli anni settanta ad oggi. 

Dopo avere promosso l’album con una corposa tournée nelle maggiori città australiane, i Leadfinger approdano per la prima volta a suonare in Europa, con un tour di quattordici date nel 2017, limitata però ai soli paesi di Spagna, Francia e Svizzera. 
Proprio durante le date spagnole, i Leadfinger durante un day-off , ne approfittano per registrare l'EP “La Banda En España En Technicolor” live in studio dove compaiono alcuni brani  tratti dagli album precedenti (Cruel CityFourteen e We Make the Music), due covers: "You Wear It Well” (Rod Stewart) e “Baby, Lets Twist” (The Dictators), cui si aggiunge "Edge A Little Closer” scritta da Cunningham per gli Asteroid B-612. L’EP resta relegato in un cassetto sino al novembre del 2019 quando verrà immesso sul mercato sia in forma di cd fisco che in versione digitale, attraverso i canali ufficiali della band. In questo lasso di tempo l’attività della band si è dovuta interrompere a causa dei problemi di salute che hanno colpito Cunningham, che ha dovuto sottoporsi a cure impegnative che lo hanno portato sulla via della guarigione, ma ne hanno limitato fortemente l’attività musicale. 
In attesa che la storia musicale dei Leadfinger riprenda con immutata lena, non resta che riascoltare i dischi di una delle formazioni che meglio hanno saputo portare avanti la tradizione del rock australiano, del suono australiano.

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