La musica al tempo del Covid-19 Intervista a Marco Diamantini (Cheap Wine)
Secondo appuntamento per “la musica al tempo del Covid-19” una serie d’interviste riservate ad alcuni protagonisti della scena musicale italiana. Dopo l’intervista a Franz Barcella, titolare e non solo dell’etichetta Wild Honey, oggi affrontiamo l’argomento con Marco Diamantini, voce, chitarra e principale autore della musica dei Cheap Wine, gruppo attivo da oltre vent’anni, durante i quali ha pubblicato con il suo gruppo ben 11 album di materiale originale e due Live, tutti di pregevolissima fattura e dei quali abbiamo spesso parlato su queste pagine.
Come state affrontando questo duro periodo di lockdown, in una delle regioni, le Marche, più colpite dalla pandemia di Coronavirus?
“Non è facile, soprattutto perché le limitazioni pesano soprattutto su mio figlio, che non può socializzare con gli amichetti, andare nei parchi ecc. Ma tutto sommato va bene perché siamo molto fortunati, rispetto a chi ha vissuto sulla propria pelle la malattia, o ha avuto dei familiari che sono morti”.
Le Marche sono una delle regioni maggiormente colpite dal Covid-19. Siete riusciti a capire come sia stato possibile che il virus, da voi, si sia diffuso in maniera così drammatica?
“Sembra che il contagio sia partito in occasione delle Final Eight di Basket disputate nel palazzetto dello sport, qui a Pesaro. La nostra è una città con una grande passione per la pallacanestro e pure se la nostra VL non vi fosse impegnata, molti appassionati hanno seguito l’evento, mescolandosi con le tifoserie delle squadre venute dalla Lombardia e dal Veneto, per questo si ritiene che il maggiore contagio si sia diffuso in quell’occasione”.
Pesaro è una città a forte vocazione turistica quindi tutto quello che è avvenuto in queste settimane unito a quello che verrà in seguito, ha inferto un duro colpo all’economia di un’intera provincia.
“Penso che le conseguenze economiche saranno durissime, perché abbiamo tantissime attività che ruotano intorno al turismo: dagli alberghi ai ristoranti, passando per i bar o i lidi sulla spiaggia. Per non parlare poi delle tante aziende del settore artigiano manifatturiero ed industriale molto importante e che soffrono tantissimo in questo periodo di chiusura. Credo che avvicinandoci alla stagione balneare, sarà ancora peggio per tutto il comparto legato all’accoglienza turistica, senza dimenticare poi che abbiamo vicino centri storici molto importanti, come ad esempio Urbino, che ogni anno vengono visitati da migliaia e migliaia di turisti”.
Hai pensato che in questa situazione ora in moltissimi stanno vivendo le difficoltà che segnavano la vita del protagonista di alcuni tuoi album come “Based on Lies” o “Beggar Town”?
“La mia era una visione sociale dei tempi che stavamo vivendo. Dei fotogrammi che poi si sono realmente verificati ma, lungi da me il pensiero di averli profetizzati, di certo ci ha dato una visione fisica di quello che voleva essere solo una rappresentazione metafisica”.
In questa serie di interviste che ho avviato da poco, cerco di comprendere quale possa essere il futuro di una categoria, quella dei lavoratori dello spettacolo e della musica in particolare, che sembra caduta nell’oblio e della quale non si parla mai. Un settore produttivo che sembra non esistere. Qual è il tuo punto di vista?
“Essenzialmente è un problema culturale. L’arte in questo Paese che sembra strano parlarne, visto che ha visto nascere i più grandi artisti del mondo. Molte cose le abbiamo inventate, in altre siamo stati dei precursori, ma oggi per gli italiani, sembra che l’arte sia una sorte di gioco. Qualcosa di frivolo ed in qualche modo non necessario. Tutto questo è di una tristezza abissale, anche se detto da me che sono un musicista, sembra sia un ragionamento di parte. L’arte è una componente fondamentale della vita e dell’animo dell’uomo, se questa viene considerata un gioco, la musica poi è messa alla stregua di una cazzata. Per questo tutto quello che vi ruota intorno non viene neanche preso in considerazione. Il musicista viene considerato un perdigiorno, uno che dovrebbe trovarsi un lavoro serio”.
Infatti quando ad un musicista si chiede che lavoro fa, alla risposta si aggiunge poi, si ma di lavoro cosa fai?
“Esatto. Se la considerazione del musicista è questa, tutto il resto viene di conseguenza, ed in un momento come questo, i bisogni economici della nostra categoria, non vengono presi in considerazione. All’estero c’è un rispetto diverso per i musicisti e sarebbe ora che arrivasse anche da noi, benché il momento sia particolarmente difficile”.
Voi come Cheap Wine siete stati particolarmente penalizzati dalla situazione, visto che eravate in piena fase di lancio e promozione, attraverso i concerti, del vostro ultimo disco “Faces” uscito lo scorso mese di ottobre. Immagino come sia difficile la situazione per un gruppo totalmente autoprodotto e autogestito come il vostro.
“Dopo avere pubblicato un disco, andare in tour diventa l’unica fonte di sostentamento. Oltre alla remunerazione che ci arriva dai concerti, bisogna poi pensare che proprio dopo ognuno di essi si riescono a vendere la maggior parte dei cd e del merchandising. Tutto ruota intorno al live per un gruppo come il nostro. Se questo viene a mancare, ecco che tutta la nostra attività viene sospesa. Non abbiamo entrate e se la situazione non viene fatta riprendere in autunno, non so come potremo sostenere le spese fisse che abbiamo: dalla sala prove alla manutenzione del furgone, dalle spese per il commercialista, alla manutenzione degli strumenti”.
Se come ipotizzato da qualcuno, i concerti non possono riprendere se non nell’estate del 2021, allora c’è da pensare che chi lo dice non conosca la realtà del settore ed i problemi che si stanno affrontando?
“Nei pochi articoli usciti in questi mesi che si sono occupati del fermo della musica, si è parlato solo dello stop ai grandi concerti. Quelli di Vasco o Jovanotti che non hanno sicuramente problemi a restare fermi per un anno. Ma la realtà non è quella. La realtà è fatta da tanti soslisti o band come la nostra, da tanti locali piccoli che sostengono la scena live del circuito indipendente, da tutta la gente che vi lavora. Non solo i gestori, ma anche i camerieri o cuochi che preparano il cibo che viene servito. Poi ci sono i fonici, chi noleggia gli impianti d’amplificazione quando servono, gli uffici stampa ecc. Credo che il lockdown, misura inevitabile, abbia già inferto loro un duro colpo e ad oggi, non possiamo neanche prevedere chi di loro sia in grado di riaprire. È tutto un grande punto interrogativo e l’unica cosa certa che mi sento di dire è che se il blocco dovesse arrivare all’estate prossima di tutto questo circuito di locali, non rimarrebbe nulla. Verrebbe tutto raso al suolo perché non credo che esistano in Italia locali capaci di reggere alla chiusura di un anno. L’intero comparto scomparirebbe nel nulla”.
Anche perché non esiste un’associazione di categoria che possa tutelarvi.
“Per realtà come la nostra non esiste nulla e l’unica possibilità di ripresa e salvaguardia è una nuova stagione di concerti che parta in autunno. Se questo non ci verrà concesso, non vedo futuro per gruppi come i Cheap Wine, ma anche per tanti locali dove abitualmente veniamo chiamati a suonare”.
Il tutto poi si ripercuoterebbe anche su settori come quelli che producono strumenti musicali, amplificatori e backline, i negozi che li vendono o noleggiano, gli studi di registrazione, le sale prova, i liutai ecc. una filiera enorme che viene colpita.
“Anche i locali hanno i fornitori di birra e bevande che somministrano, i prodotti per la ristorazione, le strutture ricettive che ospitano musicisti o il pubblico che si sposta da altre città e che non può rientrare in esse la sera stessa del concerto. Anche dietro ad un concerto che dal di fuori può sembrare molto piccolo, c’è una vera e propria economia che vive su di esso. Lavoratori e famiglie che vivono su di esso e che fanno capire come la musica non sia un gioco. Una realtà che sebbene venga oscurata da molti ed ignorata dalla gran parte degli italiani, esiste”.
In questo periodo molti musicisti esorcizzano la paura ed il blocco delle attività suonando da casa a beneficio dei fans che li seguono sui social network. Cosa ne pensi?
“Non mi piace. Proprio perché ritengo che la musica non sia una cazzata come pensano in tanti. La musica deve essere suonata nei luoghi giusti con tutti i crismi del caso è una questione di rispetto per la mia musica e per chi l’ascolta. Non mi piace chiudermi in camera davanti allo schermo di un telefonino e trasmettere su di un social network, con un livello audio pessimo e con una situazione, il più delle volte triste. Rispetto pienamente chi lo fa e non ho da muovere nessuna critica. Non credo che questo possa essere un sostitutivo della musica dal vivo, non credo che si possa ovviare all’assenza delle emozioni di un concerto in questa maniera. Preferisco ascoltare un disco o guardare un video, magari anche musicale. La musica deve essere proposta in condizioni ottimali”.
È una questione di rispetto per chi la suona e per chi l’ascolta.
“Esatto. Non mi piace ascoltare la musica in questo modo, anche se alcuni dei miei idoli musicali lo hanno fatto, io non li ho guardati proprio perché credo che questo sminuisca tutto quanto e riduce la musica ad una dimensione che a me non piace. È una visione molto personale e non voglio offendere e sminuire nessuno che legge questo mio pensiero, ma io credo che dia una visone della musica che non mi appartiene”.
Magari rilancia l’idea che la musica sia una cosa facile da fare, quasi povera in questa versione così scarna.
“Credo che mandi il messaggio che la musica sia una cosa poco importante. Perché una cosa davvero importante non la trasmetti in un modo così approssimativo, oltre che essere poco piacevole e professionale”.
Il fatto di restare chiusi in casa favorisce l’ispirazione per scrivere delle nuove canzoni. Personalmente tutto questo tempo libero a disposizione sembra che tolga la voglia di fare cose che quando si lavora, non sia ha il tempo di farle?
“Nel mio caso è un po’ complicato, perché avendo un bimbo piccolo che gira per casa non favorisce la situazione. Non potendolo portare all’asilo è sempre molto presente ed è giusto dedicargli attenzione e seguire lui. Poi anche la mia compagna lavora in casa per cui non posso fare troppo rumore. Poi come dici tu è un tempo libero forzato e mette in moto dei meccanismi a livello psicologico che probabilmente non conosciamo. Tutto sembra sospeso. Quando si lavora si pensa che avendo due o tre giorni liberi li si potrebbero impiegare per leggere, ascoltare musica, comporre, scrivere, guardare un film ecc.”
Poi invece ci troviamo in questa situazione quasi di alienazione totale.
"Questa situazione strana che non abbiamo mai sperimentato prima, ci porta per oscure ragioni, a non concentrarci su nulla. I primi giorni credo che tutti abbiamo divorato le pagine dei giornali on line alla ricerca di notizie sulla pandemia: come nasce, come agisce, quanto tempo dura, in quanto tempo finisce, i numeri della giornata. Adesso siamo in uno stato che sembra che stiamo fluttuando nell’aria”.
“La nostra resistenza si chiama rock’n’roll” è stato uno dei vostri slogan del passato. Credi che oggi si riesca a resistere attraverso il rock’n’roll?
“Ci stiamo confrontando con una situazione che non abbiamo mai vissuto, per cui bisogna cercare di mantenersi vivi in qualche modo, per non scivolare nell’apatia. In questo momento trovo che la famiglia sia la cosa più importante e poi attingere dai libri, dischi, film, dall’arte di cui parlavamo all’inizio, tutte cose che possono fornirci le energie mentali per superare il momento. L’aspetto più difficile è il non riuscire a sapere quando tutto questo finirà. Credo che le misure di apertura a scalare che il governo ha varato, sono degli step da fare ma non sappiamo se e quando torneremo alla vita che facevamo un tempo. Tutto è sospeso nell’ignoto ed è logorante”.
Sappiamo che il Premier Conte ed il suo Governo hanno molte cose a cui pensare, ma se dovessi dargli un suggerimento per aprire un dibattito sul comparto della musica cosa gli diresti?
“Non invidio il premier per il compito gravoso che ha sulle spalle perché qualsiasi decisione prenda non trova tutti d’accordo, specie in un paese polemico come l’Italia. Prime tutti chiedevano la chiusura di ogni cosa e davano dell’irresponsabile a chi la pensava in maniera diversa. Oggi siamo all’esatto contrario ed io ci vedo una schizofrenia totale nei giudizi della gente, e che deve prendere determinate decisioni penso abbia un compito difficilissimo. Io non ho competenze scientifiche per dire qualsiasi cosa, per cui mi rimetto a loro. Il problema semmai è proprio nel constatare come anche nell’ambito scientifico ci siano pareri contrapposti che ci disorientano. Il Governo credo stia agendo al meglio, data la situazione. È chiaro che se fino al 4 maggio tutto era chiuso, non si può pretendere che dopo cambi tutto, altrimenti quanto fatto in precedenza non avrebbe un senso logico. Riconosco la logica dele decisioni prese sino ad ora, nonostante io faccia parte di uno dei settori più penalizzati dalla situazione. Per il consiglio che mi hai chiesto, suggerirei di dare una maggiore considerazione al mestiere di artista che non è un lavoro minore rispetto ad altri e non è un lavoro che ha meno esigenze di altri. Ripeto che è una questione culturale che riguarda l’intero paese. Se nella percezione degli italiani l’arte non è una cosa seria, è facile che questo si riflette anche in chi ci governa. Anche se in teoria chi ci governa dovrebbe saperne molto più ed essere migliore degli altri. Non a caso si chiamano gli eletti, ma è un discorso molto complicato”.
Però è un fatto assodato che seguire l’arte migliora la qualità della vita. Io sto bene non solo se vivo più o meno agiatamente, se ho un lavoro che mi gratifica, ma anche se posso andare a vedere un concerto, seguire l’opera lirica, il teatro o il cinema, leggere tanti libri, ascoltare la musica o visitare una mostra. Anche viaggiare per immergermi nella bellezza delle città e dei paesi italiani. Tutto questo fa parte della qualità della vita che in questo momento sembra totalmente spazzata via.
“Assolutamente si. La concezione della qualità della vita che hai espresso adesso la condivido pienamente, anche se penso che la gente non la pensi come noi. La maggior parte della gente non identifica la qualità della vita con tutto quanto quello che hai detto, ma pensa solo di avere un bel conto in banca. La discriminante è proprio nella concezione di cosa sia importante per noi e per loro. Finché non arriveranno a capirlo, non avverrà quella rivoluzione culturale che serve a cambiare lo stato delle cose.”
Come state affrontando questo duro periodo di lockdown, in una delle regioni, le Marche, più colpite dalla pandemia di Coronavirus?
“Non è facile, soprattutto perché le limitazioni pesano soprattutto su mio figlio, che non può socializzare con gli amichetti, andare nei parchi ecc. Ma tutto sommato va bene perché siamo molto fortunati, rispetto a chi ha vissuto sulla propria pelle la malattia, o ha avuto dei familiari che sono morti”.
Le Marche sono una delle regioni maggiormente colpite dal Covid-19. Siete riusciti a capire come sia stato possibile che il virus, da voi, si sia diffuso in maniera così drammatica?
“Sembra che il contagio sia partito in occasione delle Final Eight di Basket disputate nel palazzetto dello sport, qui a Pesaro. La nostra è una città con una grande passione per la pallacanestro e pure se la nostra VL non vi fosse impegnata, molti appassionati hanno seguito l’evento, mescolandosi con le tifoserie delle squadre venute dalla Lombardia e dal Veneto, per questo si ritiene che il maggiore contagio si sia diffuso in quell’occasione”.
Pesaro è una città a forte vocazione turistica quindi tutto quello che è avvenuto in queste settimane unito a quello che verrà in seguito, ha inferto un duro colpo all’economia di un’intera provincia.
“Penso che le conseguenze economiche saranno durissime, perché abbiamo tantissime attività che ruotano intorno al turismo: dagli alberghi ai ristoranti, passando per i bar o i lidi sulla spiaggia. Per non parlare poi delle tante aziende del settore artigiano manifatturiero ed industriale molto importante e che soffrono tantissimo in questo periodo di chiusura. Credo che avvicinandoci alla stagione balneare, sarà ancora peggio per tutto il comparto legato all’accoglienza turistica, senza dimenticare poi che abbiamo vicino centri storici molto importanti, come ad esempio Urbino, che ogni anno vengono visitati da migliaia e migliaia di turisti”.
Hai pensato che in questa situazione ora in moltissimi stanno vivendo le difficoltà che segnavano la vita del protagonista di alcuni tuoi album come “Based on Lies” o “Beggar Town”?
“La mia era una visione sociale dei tempi che stavamo vivendo. Dei fotogrammi che poi si sono realmente verificati ma, lungi da me il pensiero di averli profetizzati, di certo ci ha dato una visione fisica di quello che voleva essere solo una rappresentazione metafisica”.
Cheap Wine |
In questa serie di interviste che ho avviato da poco, cerco di comprendere quale possa essere il futuro di una categoria, quella dei lavoratori dello spettacolo e della musica in particolare, che sembra caduta nell’oblio e della quale non si parla mai. Un settore produttivo che sembra non esistere. Qual è il tuo punto di vista?
“Essenzialmente è un problema culturale. L’arte in questo Paese che sembra strano parlarne, visto che ha visto nascere i più grandi artisti del mondo. Molte cose le abbiamo inventate, in altre siamo stati dei precursori, ma oggi per gli italiani, sembra che l’arte sia una sorte di gioco. Qualcosa di frivolo ed in qualche modo non necessario. Tutto questo è di una tristezza abissale, anche se detto da me che sono un musicista, sembra sia un ragionamento di parte. L’arte è una componente fondamentale della vita e dell’animo dell’uomo, se questa viene considerata un gioco, la musica poi è messa alla stregua di una cazzata. Per questo tutto quello che vi ruota intorno non viene neanche preso in considerazione. Il musicista viene considerato un perdigiorno, uno che dovrebbe trovarsi un lavoro serio”.
Infatti quando ad un musicista si chiede che lavoro fa, alla risposta si aggiunge poi, si ma di lavoro cosa fai?
“Esatto. Se la considerazione del musicista è questa, tutto il resto viene di conseguenza, ed in un momento come questo, i bisogni economici della nostra categoria, non vengono presi in considerazione. All’estero c’è un rispetto diverso per i musicisti e sarebbe ora che arrivasse anche da noi, benché il momento sia particolarmente difficile”.
Voi come Cheap Wine siete stati particolarmente penalizzati dalla situazione, visto che eravate in piena fase di lancio e promozione, attraverso i concerti, del vostro ultimo disco “Faces” uscito lo scorso mese di ottobre. Immagino come sia difficile la situazione per un gruppo totalmente autoprodotto e autogestito come il vostro.
“Dopo avere pubblicato un disco, andare in tour diventa l’unica fonte di sostentamento. Oltre alla remunerazione che ci arriva dai concerti, bisogna poi pensare che proprio dopo ognuno di essi si riescono a vendere la maggior parte dei cd e del merchandising. Tutto ruota intorno al live per un gruppo come il nostro. Se questo viene a mancare, ecco che tutta la nostra attività viene sospesa. Non abbiamo entrate e se la situazione non viene fatta riprendere in autunno, non so come potremo sostenere le spese fisse che abbiamo: dalla sala prove alla manutenzione del furgone, dalle spese per il commercialista, alla manutenzione degli strumenti”.
“Nei pochi articoli usciti in questi mesi che si sono occupati del fermo della musica, si è parlato solo dello stop ai grandi concerti. Quelli di Vasco o Jovanotti che non hanno sicuramente problemi a restare fermi per un anno. Ma la realtà non è quella. La realtà è fatta da tanti soslisti o band come la nostra, da tanti locali piccoli che sostengono la scena live del circuito indipendente, da tutta la gente che vi lavora. Non solo i gestori, ma anche i camerieri o cuochi che preparano il cibo che viene servito. Poi ci sono i fonici, chi noleggia gli impianti d’amplificazione quando servono, gli uffici stampa ecc. Credo che il lockdown, misura inevitabile, abbia già inferto loro un duro colpo e ad oggi, non possiamo neanche prevedere chi di loro sia in grado di riaprire. È tutto un grande punto interrogativo e l’unica cosa certa che mi sento di dire è che se il blocco dovesse arrivare all’estate prossima di tutto questo circuito di locali, non rimarrebbe nulla. Verrebbe tutto raso al suolo perché non credo che esistano in Italia locali capaci di reggere alla chiusura di un anno. L’intero comparto scomparirebbe nel nulla”.
Anche perché non esiste un’associazione di categoria che possa tutelarvi.
“Per realtà come la nostra non esiste nulla e l’unica possibilità di ripresa e salvaguardia è una nuova stagione di concerti che parta in autunno. Se questo non ci verrà concesso, non vedo futuro per gruppi come i Cheap Wine, ma anche per tanti locali dove abitualmente veniamo chiamati a suonare”.
Il tutto poi si ripercuoterebbe anche su settori come quelli che producono strumenti musicali, amplificatori e backline, i negozi che li vendono o noleggiano, gli studi di registrazione, le sale prova, i liutai ecc. una filiera enorme che viene colpita.
“Anche i locali hanno i fornitori di birra e bevande che somministrano, i prodotti per la ristorazione, le strutture ricettive che ospitano musicisti o il pubblico che si sposta da altre città e che non può rientrare in esse la sera stessa del concerto. Anche dietro ad un concerto che dal di fuori può sembrare molto piccolo, c’è una vera e propria economia che vive su di esso. Lavoratori e famiglie che vivono su di esso e che fanno capire come la musica non sia un gioco. Una realtà che sebbene venga oscurata da molti ed ignorata dalla gran parte degli italiani, esiste”.
In questo periodo molti musicisti esorcizzano la paura ed il blocco delle attività suonando da casa a beneficio dei fans che li seguono sui social network. Cosa ne pensi?
“Non mi piace. Proprio perché ritengo che la musica non sia una cazzata come pensano in tanti. La musica deve essere suonata nei luoghi giusti con tutti i crismi del caso è una questione di rispetto per la mia musica e per chi l’ascolta. Non mi piace chiudermi in camera davanti allo schermo di un telefonino e trasmettere su di un social network, con un livello audio pessimo e con una situazione, il più delle volte triste. Rispetto pienamente chi lo fa e non ho da muovere nessuna critica. Non credo che questo possa essere un sostitutivo della musica dal vivo, non credo che si possa ovviare all’assenza delle emozioni di un concerto in questa maniera. Preferisco ascoltare un disco o guardare un video, magari anche musicale. La musica deve essere proposta in condizioni ottimali”.
È una questione di rispetto per chi la suona e per chi l’ascolta.
“Esatto. Non mi piace ascoltare la musica in questo modo, anche se alcuni dei miei idoli musicali lo hanno fatto, io non li ho guardati proprio perché credo che questo sminuisca tutto quanto e riduce la musica ad una dimensione che a me non piace. È una visione molto personale e non voglio offendere e sminuire nessuno che legge questo mio pensiero, ma io credo che dia una visone della musica che non mi appartiene”.
Magari rilancia l’idea che la musica sia una cosa facile da fare, quasi povera in questa versione così scarna.
“Credo che mandi il messaggio che la musica sia una cosa poco importante. Perché una cosa davvero importante non la trasmetti in un modo così approssimativo, oltre che essere poco piacevole e professionale”.
Il fatto di restare chiusi in casa favorisce l’ispirazione per scrivere delle nuove canzoni. Personalmente tutto questo tempo libero a disposizione sembra che tolga la voglia di fare cose che quando si lavora, non sia ha il tempo di farle?
“Nel mio caso è un po’ complicato, perché avendo un bimbo piccolo che gira per casa non favorisce la situazione. Non potendolo portare all’asilo è sempre molto presente ed è giusto dedicargli attenzione e seguire lui. Poi anche la mia compagna lavora in casa per cui non posso fare troppo rumore. Poi come dici tu è un tempo libero forzato e mette in moto dei meccanismi a livello psicologico che probabilmente non conosciamo. Tutto sembra sospeso. Quando si lavora si pensa che avendo due o tre giorni liberi li si potrebbero impiegare per leggere, ascoltare musica, comporre, scrivere, guardare un film ecc.”
Poi invece ci troviamo in questa situazione quasi di alienazione totale.
"Questa situazione strana che non abbiamo mai sperimentato prima, ci porta per oscure ragioni, a non concentrarci su nulla. I primi giorni credo che tutti abbiamo divorato le pagine dei giornali on line alla ricerca di notizie sulla pandemia: come nasce, come agisce, quanto tempo dura, in quanto tempo finisce, i numeri della giornata. Adesso siamo in uno stato che sembra che stiamo fluttuando nell’aria”.
“La nostra resistenza si chiama rock’n’roll” è stato uno dei vostri slogan del passato. Credi che oggi si riesca a resistere attraverso il rock’n’roll?
“Ci stiamo confrontando con una situazione che non abbiamo mai vissuto, per cui bisogna cercare di mantenersi vivi in qualche modo, per non scivolare nell’apatia. In questo momento trovo che la famiglia sia la cosa più importante e poi attingere dai libri, dischi, film, dall’arte di cui parlavamo all’inizio, tutte cose che possono fornirci le energie mentali per superare il momento. L’aspetto più difficile è il non riuscire a sapere quando tutto questo finirà. Credo che le misure di apertura a scalare che il governo ha varato, sono degli step da fare ma non sappiamo se e quando torneremo alla vita che facevamo un tempo. Tutto è sospeso nell’ignoto ed è logorante”.
Sappiamo che il Premier Conte ed il suo Governo hanno molte cose a cui pensare, ma se dovessi dargli un suggerimento per aprire un dibattito sul comparto della musica cosa gli diresti?
“Non invidio il premier per il compito gravoso che ha sulle spalle perché qualsiasi decisione prenda non trova tutti d’accordo, specie in un paese polemico come l’Italia. Prime tutti chiedevano la chiusura di ogni cosa e davano dell’irresponsabile a chi la pensava in maniera diversa. Oggi siamo all’esatto contrario ed io ci vedo una schizofrenia totale nei giudizi della gente, e che deve prendere determinate decisioni penso abbia un compito difficilissimo. Io non ho competenze scientifiche per dire qualsiasi cosa, per cui mi rimetto a loro. Il problema semmai è proprio nel constatare come anche nell’ambito scientifico ci siano pareri contrapposti che ci disorientano. Il Governo credo stia agendo al meglio, data la situazione. È chiaro che se fino al 4 maggio tutto era chiuso, non si può pretendere che dopo cambi tutto, altrimenti quanto fatto in precedenza non avrebbe un senso logico. Riconosco la logica dele decisioni prese sino ad ora, nonostante io faccia parte di uno dei settori più penalizzati dalla situazione. Per il consiglio che mi hai chiesto, suggerirei di dare una maggiore considerazione al mestiere di artista che non è un lavoro minore rispetto ad altri e non è un lavoro che ha meno esigenze di altri. Ripeto che è una questione culturale che riguarda l’intero paese. Se nella percezione degli italiani l’arte non è una cosa seria, è facile che questo si riflette anche in chi ci governa. Anche se in teoria chi ci governa dovrebbe saperne molto più ed essere migliore degli altri. Non a caso si chiamano gli eletti, ma è un discorso molto complicato”.
Però è un fatto assodato che seguire l’arte migliora la qualità della vita. Io sto bene non solo se vivo più o meno agiatamente, se ho un lavoro che mi gratifica, ma anche se posso andare a vedere un concerto, seguire l’opera lirica, il teatro o il cinema, leggere tanti libri, ascoltare la musica o visitare una mostra. Anche viaggiare per immergermi nella bellezza delle città e dei paesi italiani. Tutto questo fa parte della qualità della vita che in questo momento sembra totalmente spazzata via.
“Assolutamente si. La concezione della qualità della vita che hai espresso adesso la condivido pienamente, anche se penso che la gente non la pensi come noi. La maggior parte della gente non identifica la qualità della vita con tutto quanto quello che hai detto, ma pensa solo di avere un bel conto in banca. La discriminante è proprio nella concezione di cosa sia importante per noi e per loro. Finché non arriveranno a capirlo, non avverrà quella rivoluzione culturale che serve a cambiare lo stato delle cose.”
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