Recensione Umberto Maria Giardini – Protestantesima (La Tempesta Dischi, 2015)
Con il secondo album a suo nome, Umberto Giardini compie un deciso balzo in avanti verso una
maturità compositiva che è cresciuta disco dopo disco nel percorso che ha
trasformato Moltheni in UMG. Protestantesima è un disco
meraviglioso da qualsiasi lato lo si
guardi, partendo dalla sua copertina visionaria e criptica disegnata da Pasquale de Sensi passando per un
impianto lirico sempre raffinato e finendo nel godere di un suono cesellato in
ogni particolare. Partendo da quest’ultimo c‘è da dire che Protestantesima è un
disco, per fortuna, profondamente rock che segna il confine tra chi utilizza il
cantautorato in forma classica (Colapesce, Dente, Brunori et simili) e chi
cerca di coniugare la tradizione italiana con quella del rock (Benvegnù, Cerea
e naturalmente lo stesso Giardini). Il disco si apre con la title track un
brano perfetto per sintetizzare temi musicali e letterali del disco: ritmica
serrata, chitarre che guidano una melodia efficacissima, e tastiere che
sorreggono un testo poco “popular” ma
che rappresenta il valore aggiunto di un singolo che, in un paese normale,
godrebbe di un airplay massiccio. La successiva “C’è chi ottiene e chi pretende”
mette in campo tutta la libertà espressiva del suo autore. Una lunga ballatta
tutta giocata su di un tappeto di batteria e tastiere sulle quali si adagiano
la delicatezza di un flauto che fa da contraltare alle chitarre che sembrano
quasi lavorare in secondo piano, salvo poi aumentare d’intensità per creare
delle variazioni di tema. Il testo, come in molte altre parti dell’album, guarda ai sentimenti ed un amore quasi
sempre tormentato e finito inevitabilmente, letto al passato come nella
successiva Molteplici e riflessi altro brano dal forte potere evocativo. Il
vaso di pandora rappresenta una forte denuncia sociale alla Milano da
bere e musicale dove “il denaro serve
soprattutto perché piace la cocaina” mostrando le due facce tra chi si
piega e chi riesce a distaccarsene. Dopo questa prima parte ricca ed emotiva,
Giardini piazza un colpo da ko con la bellissima ballata “Seconda madre” uno dei
pezzi più alti della poetica del cantautore marchigiano, cui segue “Amare
male” un altro brano dedicato “al
mal d’amore (per cui) cura non c’è” ma
in cui l’autore mostra quale sia la strada da seguire per “convivere” con lui: serve “chi digerisce i mie no per le colpe che non
ho”. Il mondo di Umberto Giardini torna a farsi estremamente visionario
nella rarefatta “Sibilla” una ballata liquida che mette in risalto un testo particolarmente ispirato e poetico. A
spezzare l’armonia arriva poi “Urania” il pezzo dissociato
dell’album, dove batteria e chitarre hanno un incedere marziale e ripetono
monotone lo stesso tema lirico con piccole variazioni di tono, completamente
slegate dalla melodia del brano che racconta di un altro amore inevitabilmente
finito dove le giornate sono vuote d’amore ma piene di riflessione sul tempo
perduto(?) e con la metafora del “cambio
di farfalle nel cervello” che si fissa indelebilmente in mente. Il disco si chiude con un’altra gemma poetica
qual è “Pregando gli alberi in un ottobre da non dimenticare” che
rappresenta la summa di quanto ascoltato in precedenza. Come se non fosse
abbastanza, “Protestantesima” è
impreziosito dalla traccia nascosta “6 aprile” una poesia di Ada Sirente sulla tragedia del
terremoto de L’Aquila, trasformata in delicata ballata acustica. In definitiva
un album meraviglioso di rock in italiano, ben prodotto da Antonio “Cooper”
Cupertino e suonato in maniera mirabile, che lo pone sicuramente come uno dei
migliori dischi che è possibile ascoltare quest’anno.
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