Umberto Maria Giardini - intervista (via mail) 15.03.2015
Quando
Sotterranei Pop era un programma radiofonico quotidiano, l’intervista ad
Umberto Giardini era un appuntamento che attendevo con particolare
trepidazione, conscio che parlare con lui, come con pochi altri autori della
scena rock italiana, sarebbe stato un momento di particolare arricchimento per
il sottoscritto e per gli ascoltatori. Avevo timore che affrontando il capitolo
“Protestantesima”(quì la recensione) attraverso la freddezza delle domande inviate via mail,
avrebbe potuto togliere immediatezza e spessore al nostro confronto dialettico.
Per fortuna, come sempre, ci ha pensato il buon Umberto a sollevarvi dall’imbarazzo,
rispondendo esaudiente mente anche in questa formula, per me nuova, che è
andata come in radio: buona la prima. Buona lettura.
Partiamo dal titolo
dell’album, cosa dobbiamo intendere per Protestantesima?
<<Protestantesima vuol
significare tutto e niente allo stesso tempo. E' un titolo che mi girava da
anni nella testa senza aver la possibilità di metterlo a fuoco l'ho scelto,
poiché aveva, ha, un sapore polemico ma non troppo. Stava a significare che
quello che si sarebbe ascoltato si distaccava da tutto e da tutti, per
autolegittimarsi come un album importante sotto ogni punto di vista. Liriche,
musica, arrangiamenti, singoli brani, significati, e tutto ciò che compone un
ottimo disco di musica rock. Questo è Protestantesima,
qualcosa che si distacca per sua natura ma che rappresenta tutto. In questo
caso per tutto si intende la discografia italiana, al completo>>.
Il disco mette in risalto la
sua anima profondamente rock, e riguardando al tuo percorso musicale, mi sembra
rappresenti una naturale evoluzione del tuo “sentire”.
<<Sono stato sempre
legato all'esperienza rock nel suo significato più profondo, anche se riconosco
nella psichedelia il mio genere perfetto, il mio terreno in cui si saldano le
mie radici. Protestantesima è
inevitabilmente un evoluzione della mia musica, ma anche della mia vita. E' un
disco in cui tutto si riflette e da cui viene rimbalzata una luce potentissima
che scava dentro ognuno di noi>>.
Si coglie il grande lavoro
in fase di produzione per offrire all’ascoltatore un bel suono segno, a mio
avviso, di un grande rispetto per il pubblico a cui si rivolge.
<<Si, è esattamente
così. Credo che nel tempo il mio pubblico sia sempre più maturo, non troppo
giovane poiché le nuove generazioni comprendono poco di buona musica. Qualsiasi
cosa gli propini va bene, purché ci siano amplificatori e chitarre distorte a
palla. Ma anche non troppo vecchio perché molte persone invecchiando perdono
l'affezionamento alla qualità, causa noia, stanchezza, disillusione verso la
vita e i suoi significati soprattutto e appunto nel campo dell'arte. Ho sempre
avuto un gran rispetto verso coloro che mi ascoltano e traducono i miei lavori
nella giusta maniera, come non potrei.>>.
Lo hai pensato come se
scrivessi per una band?
<<Può darsi, queste
sono impressioni più riservate all'ascoltatore che giudica e tira le somme su
ciò che ascolta. Di sicuro c’è stata tanta attenzione e del tempo ben impiegato
per fare tutto come ci eravamo prefissati. Ho sempre goduto di molta libertà
nel mio lavoro, e di certo la mia etichetta La Tempesta mi ha sempre regalato
molta fiducia e serenità in termini compositivi. Quindi il risultato più delle
altre volte ci ha dato ragione>>
Nel disco si coglie in più
canzoni il ruolo portante della batteria, non solo relegata a “sostegno” dei
brani.
<<Verissimo. La
batteria e comunque tutta la sezione ritmica in Protestantesima è stata
studiata nei minimi dettagli. Non a caso abbiamo scelto assieme al produttore
del disco Antonio Cooper Cupertino di lavorare a Verona al "Sotto il mare
studio" di Luca Tacconi. Abbiamo avuto la possibilità di avere grossi
reverberi naturali, fondamentali e determinanti per l'idea che avevo e il
risultato che volevo per questo album>>.
Si nota anche come tu abbia
potuto usare una certa libertà di espressione musicale, dilatando i tempi in
brani come “C’è chi ottiene e chi
pretende” o “Pregando gli alberi in un ottobre da non dimenticare”.
<<Diciamo che
l'etichetta di cantautore mi è sempre andata un po' stretta. Più che altro il
ruolo di cantautore non mi si addice più. Quando ero Moltheni poteva essere
affine e appropriato, ma oggi UMG ha una natura più ampia. Musicalmente ho
avuto un enorme evoluzione, soprattutto ricominciando a studiare la chitarra
elettrica mi si sono aperte tante e innumerevoli strade che avevo sempre o
quasi tralasciato con il progetto precedente. Oggi non posso e non voglio
essere considerato un cantautore, sono bensì un musicista che scrive suona e
canta >>.
Passiamo ai temi lirici del
disco: come sempre le relazioni a due si fanno sempre più difficili e fanno
emergere una certa difficoltà a stabilizzarsi.
<<Scrivo solamente la
verità. Oggi come anni fa (e sempre più) è l'incomunicabilità tra gli esseri
umani che determina l'andamento della nostra vita, nonché il suo umore e le conseguenze
che poi ne derivano. Non faccio altro che dire le cose come stanno, con una
buona dose di pathos, di melodrammaticità e tanta onestà intellettuale>>.
Più che usare toni
zuccherosi, descrivi l’amore mettendo l’accento su quello che può far male nel
rapporto uomo/donna.
<<Forse è esattamente
questo che determina "anche" i lavori di qualità da quelli
superficiali. Se si ascolta dischi che vendono migliaia di copie come Gianna
Nannini, Biagio Antonacci, Max Pezzali e tanti altri si capisce quale
superficialità e soprattutto quale mediocrità di fondo ci sia. Quando scrivi
devi farlo bene, io lo so fare.>>.
Amori che mi pare siano
sempre raccontati al passato. É giusta questa mia impressione?
<<Si, molto spesso si.
Parlare al passato da un sapore romantico irraggiungibile rispetto che al
presente e al futuro. Prevale sempre una sorte di sentimento velato che
abbraccia il rimpianto, la malinconia e la sofferenza a me personalmente piace
tantissimo>>.
Non c’è cura al mal d’amore come dici in “Amare male”?
<<No, almeno per me.
Mi sono innamorato poche volte nella mia vita, ma ciò che accade quando si
soffre per amore è una cosa unica che non assomiglia a niente. Credo davvero
che non ci sia una cura nella sofferenza per amore, come credo che l'amore sia
una cosa misteriosa, un sentimento talmente astratto e inspiegabile che
non prevede cura, ma
solamente percorso senza ritorno. Possono esserci deviazioni nel durante, ma
non si può tornare indietro, non ce n’è spazio>>.
Nella denuncia sociale ad
una certa Milano raccontata nel “Vaso di
Pandora” in molti hanno letto una critica al mondo del rock italiano di
successo. Tutta colpa della “piccola iena” citata nel testo. Volevi intendere
davvero quello?
<<Il bello e il
divertente della musica italiana sta anche in questo, ovvero che ognuno traduce
sempre come meglio gli conviene, o per forza di cose facendo il tragitto piu'
breve, perché' la mente spesso è pigra (sorrido). Nel Vaso di Pandora parlo della verità inattaccabile secondo la quale
tutto il mondo rock e non, in Italia, orbita attorno alla cocaina. Senza
l'esistenza della cocaina il nostro paese e la sua gente che si occupa perlopiù
di musica sarebbe tanto tanto diverso. Questo accade ovunque, probabilmente di più
a Milano dove la musica è stata sempre vissuta in maniera esagerata e cool. La
citazione degli Afterhours
"piccola iena" cade a pennello ognuno è libero di pensare
quello che vuole e/o credere in quello che vede; io vedendo nel mio
immaginario, gli After come la band milanese per eccellenza mi sono divertito a giocare
su questa frase, nulla più. Sia perché la rima era perfetta, sia perché è
divertente. Se avessi parlato del
provincialismo del giro musicale romano avrei potuto dire lo stesso o citare un
brano di Max Gazzè o dei Tiromancino ma saremmo qui a parlare d'altro.>>.
Il disco contiene tante
belle canzoni tra cui spiccano due meraviglie come “Seconda Madre” e “Sibilla” che
a mio avviso si pongono ai vertici della tua produzione. Come nascono?
<<Nascono prendendo la
chitarra e lavorando sodo in sala prove, spesso da solo. Provando e riprovando
e riprovando ancora tante tante ore dei giri di accordi che si sposano bene tra
di loro, o che al mio orecchio destro sembrano armoniosi ma non troppo. Poi ci
si cuce con un lavoro attento e sopraffino un testo adeguato, profondo, poetico
e luminoso, e il gioco è fatto. Credo sia una mia precisa metodologia e un perfetto manierismo nel lavoro che mi
aiuta poi a trovare sempre la giusta via nella costruzione di un brano;
tuttavia alla base di ciò c’è semplicemente tanto lavoro, tante ore sopra lo
strumento, tanta fatica e tanto appagamento nel viverla>>.
Nella mia recensione ho
definito “Urania” come il pezzo
“dissociato” dell’album nel senso che il suono marziale sembra slegato (magari
poi non è così) dalla melodia cantata.
<<Urania è un brano
hard e monotono, una sorta di bolero rock dove c'e' poco spazio per i cambi
d'accordo. Più che dissociato dagli altri brani dell'album è un brano che alza
la testa fin dall'inizio. E' temerario tutto qua. L'album è molto ben
amalgamato piu' che altro con i suoni tutti molto simili. Abbiamo sperimentato
molto con la mia band e ognuno di noi ha
avuto il giusto spazio per dire la sua. L'esperienza alle chitarre di Marco Marzo Maracas ha trovato
pochissimi ostacoli durante il percorso di elaborazione del disco. Michele Zanni ha ricoperto il ruolo più
importante nelle registrazioni poiché alla fine e in modo molto naturale l'ha
quasi prodotto assieme a Cupertino. Giulio
Martinelli invece ha imposto all'intero disco un sapore inequivocabile e
riconoscibilissimo sia con le sue batterie, ma soprattutto con l'intenzione
giusta nel suonare. Ciò ha causato l'inaspettata ma gradita amalgama tra tutti
i brani, colori che non ci aspettavamo venissero fuori e che invece sono
risultati la forza del disco. Io sono stato la mente che ha creato, ma tutti
loro, in primis Cupertino, sono
stati le braccia e la forza motore. Senza tutti queste fusioni di elementi e
menti il disco sarebbe stato notevolmente diverso>>.
E poi contiene
quest’immagine che mi fa letteralmente impazzire quando recita: <<cambio le farfalle nel
cervello…>> come nasce?
<<Nasce semplicemente
concentrandosi tra quello che si vorrebbe dire e come dirlo, per poi cantarlo.
É un processo poetico e di scrittura che non è facile da raggiungere, occorre
molto tempo e tanta perspicacia. In Italia siamo appena due o tre al massimo
capaci di interpretare i pensieri e trascriverli in questa maniera qua, ma non
è poi cosi' importante, anzi, non lo è affatto.>>.
Il disco si chiude con la
poesia “6 Aprile” di Ada Sirente da
te musicata. Come mai hai scelto di inserirla come traccia nascosta? Per il suo
incedere acustico un po’ fuori tema con il suono del disco? Oppure per
rafforzarne la scoperta?
<< Ne l'una ne l'altra
motivazione, o forse chissà per entrambe. Non lo so.. ho pensato confrontandomi
con il mio produttore che poteva essere un ottima ghost track e nulla più. Ci
ho pensato un po' su e poi l'ho fatto. Credo sia un brano che merita un po' di
silenzio prima di essere ascoltato, la sua forza sta nell'isolarsi da tutto non
abbiamo fatto altro che assecondarne la natura>>.
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