Recensione Sick Boys Revue – Sick Tales (Area Pirata)

È davvero difficile affrancarsi da un modello tanto ingombrante quanto amato non solo da schiere di fans in tutto il mondo, quando per un periodo della propria vita artistica se ne fa una ragione di vita tanto da diventarne una tribute band. Questo è quello che hanno fatto per un po’ di anni i Sick Boys omaggiando i Social Distortion come cover band, scelta peraltro non facilissima da fare nel nostro paese, ma realizzata sotto la spinta di un amore infinito dal quartetto di Follonica. Per affrancarsi, ma poi neanche tanto , da un modello così ingombrante e riconoscibile, i Sick Boys con un cambio di linea up si sono aggiornati in Sick Boys Revue ed hanno messo in riga un po’ di canzoni originali per presentarsi con questo disco d’esordio licenziato da Area Pirata Records. Gli undici brani  di “Sick Tales” sono godibilissimi concentrati di street punk che mettono in pratica la lezione impartita da Clash, Ramones, Buzzcocks e tanti altri (aggiungete chi volete voi), per finire naturalmente alla band di Mick Ness. I Social Distortion aleggiano quasi come un fantasma su questo disco, d’altronde la voce del Commisserio è letteralmente plasmata da quella del Sick Boy per antonomasia, e le chitarre richiamano spesso e volentieri quelle del gruppo californiano, prendere ad esempio brani come “By My Side” o la ballata “Become Myself” per farvene un’idea, oppure soluzioni citazioniste come il finale di “People Call Me Sick” un brano che parte come “Blitzkrieg Bop” dei Ramones e si chiude come la “Ball and Chain” del terzo album dei Social Distortion. Ma a limitare l’analisi di questo album alle similitudini  si fa un torto al quartetto toscano, perché l’album scorre piacevolmente all’ascolto, le canzoni scritte da Giacomo Agresti si reggono molto bene sulle proprie gambe  a partire dall’incipit di “Sick Boys Play Rock ‘n’ Roll” sorta di manifesto della band passando, oltre a quelle già citate, anche per brani notevoli come “Tell Me” o l’atipica “Panem et Circenses”, ma un po’ tutte meriterebbero una singola citazione. L’album registrato sotto l’abile regia di Lester Greenowski è destinato  a tenere vivo il sacro fuoco del rock ‘n’ roll italico. 


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