Recensione Shellac – To All Trains (Touch & Go Records, 2024)
Quando nel mese di marzo gli Shellac annunciarono
l’uscita di “To All Trains”, sesto album in studio per il trio di
Chicago, ho cerchiato di rosso sul calendario la data del 17 maggio, per
fiondarmi sull’ascolto di quello che per me è diventato uno dei dischi più
attesi dell’anno. Questo perché Steve Albini, Bob Weston e Todd Trainer non
pubblicavano dischi da ben dieci anni, se si eccettua la pubblicazione della
raccolta di Peel Sessions “The End Of Radio” del 2019 che seguì l’ultimo
lavoro in studio “Dude Incredible”.
Un’attesa breve che non è stata accompagnata da nessun brano anticipatore, ma
che è stata incredibilmente caratterizzata dalla prematura scomparsa di Steve
Albini avvenuta appena nove giorni prima dell’uscita del disco che diventa,
inconsapevolmente, il testamento sonoro di una delle menti più brillanti che
hanno attraversato l’ultimo trentennio della musica rock.
Nelle poche note che avevano accompagnato l’annuncio di To All Trains, la band
fedele ai suoi principi morali e scevri di compromessi che da sempre hanno
caratterizzato l’ottica D.I.Y del loro intendere il rock underground, scrivevano
che "Questo disco non avrà alcuna promozione formale. Non ci saranno
pubblicità, né promozione a mezzo stampa o radio, né promozione elettronica, né
copie promozionali o di recensione, né oggetti promozionali, e comunque nessun
pranzo gratis”. Bisognava solo aspettare e oggi che l’attesa è finita, ecco
materializzarsi negli store digitali e nei negozi un disco tanto breve quanto
intenso, composto nei ritagli di tempo, come costume della band, in un arco
temporale abbastanza lungo tra il novembre 2017 e marzo 2022.
Ai primi e ripetuti ascolti il disco suona subito familiare sebbene il gruppo
abbia scelto di seguire una strada molto più concisa rispetto al passato, con
dieci canzoni per un totale di poco più che 28 minuti del più classico
noise/math rock fatto di riffs di chitarra nervosi ed innestati su di una
solida ritmica che crea fascinosi groove ipnotici. Albini e Bob Weston si
alternano al canto con il primo che risulta a tratti sprezzante anche quando
riempie i testi con la sua sottile ironia, mentre il secondo ne ammorbidisce i
toni, rendendo il disco meno monocorde rispetto al passato. Sembra quasi che
nel mettere a punto questo disco, il trio abbia voluto dare un’immagine più
appetibile di sé, non tanto smorzando le note asperità sonore, ma
confezionandole in una maniera tale che possa essere accattivante per il
neofita, ma allo stesso tempo altamente appagante per i fan di vecchia data.
Se non fosse che la morte improvvisa di Albini non era assolutamente messa
neanche lontanamente in conto da nessuno, alcune parti di testo delle canzoni
di questo album, suonano come se il chitarrista/produttore le avesse preparate
per l’occasione.
In particolare nel brano conclusivo I Don't Fear Hell, Albini recita “E
quando tutto questo sarà finito, salterò nella mia tomba come le braccia di un
amante”, proseguendo in un’alternanza tra inferno e paradiso: “Se c'è un
paradiso, spero che si stiano divertendo”/ “Se c'è un inferno, conoscerò
tutti”.
In un altro brano, Wednesday, dall’atmosfera
noir i versi conclusivi recitano “Quindi, ricordatevi di lui, sano e
forte, non sarebbe mai scappato da una lotta, e non la cosa triste che gli ha
fatto saltare le cervella in cucina, mercoledì sera”.
C’è anche quello che è più che un sentito omaggio a Mark E. Smith dei Fall,
figura emblematica e controcorrente del post punk britannico, di cui viene
ripreso il titolo di uno dei singoli che anticiparono l’album “Grotesque”: How
I Wrote How I Wrote Elastic Man con l’aggiunta (cock & bull).
Il resto è quanto di meglio ci potessimo aspettare dagli Shellac: un disco
fatto di brani duri, abrasivi e sperimentale con canzoni piene di riff nervosi,
solide ritmiche caratterizzate dal basso pulsante di Weston e dalla batteria di
Todd Trainer che come sempre Albini registra in quel modo inconfondibile
che è diventato il suo marchio di fabbrica e che lo ha reso celebre ed amato in
tutto il mondo. In particolar modo da quei musicisti che hanno scelto il suo
Electrical Audio di Chicago, per dare forma alla propria idea di fare musica.
Il disco esce per la Touch & Go, etichetta che ha smesso di pubblicare
dischi nuovi nel 2009, se si eccettuano quelli degli Shellac, e le numerose ristampe
del suo prestigioso catalogo.
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