Recensione - Chimers - Trough Today (Poison City Records, 2024)
Ricordo come fosse ora quel giorno di quattro anni fa, in quella che era una tranquilla serata qualsiasi, mentre navigavo su di un sito web australiano, di imbattermi nel nome di una nuova band, Chimers, presentata come una sorta di incrocio tra i Fugazi e gli Hüsker Dü. Bastava questo per attirare la mia attenzione e appuntare sul mio taccuino il nome di quella che sarebbe diventata una delle mie band preferite negli anni a seguire.A corredo di quell’articolo c’era un video del loro primo singolo “Mono” della durata di poco più di due minuti, che bastarono a fare scattare la scintilla di un amore incondizionato. Da lì in poi ho iniziato a seguire passo dopo passo la carriera del duo di Wollongong, che ad oggi consta di 6 singoli e due album, che fino alle soglie del secondo Trough Today, si è sviluppata in autoproduzione con i dischi che non hanno superato le 200 copie di tiratura, vendute esclusivamente attraverso il loro Bandcamp.
I Chimers sono un duo composto da marito e moglie: Il cantante-chitarrista Padraic Skehan e la batterista Binx che si sono incontrati mentre quest’ultima era in vacanza nella città natale di Padraic, Dublino. Una visita di due settimane che si è trasformata in due anni e che alla fine ha portato Padraic a sradicarsi nel 2001 e a ritrovarsi nell’ex città siderurgica di Wollongong, 80 minuti a sud di Sydney.
Nel periodo iniziale della pandemia, i due hanno formato la band nel giardino di casa a Wollongong durante l’isolamento del 2020. Padraic ha fatto un enorme passo avanti rispetto al suo passato di batterista nella vivace scena garage di Wollongong, passando a suonare la chitarra e cantare le canzoni composte per i Chimers che miscelano sapientemente il noise pop, il post-punk e il garage rock.
Quello che ne scaturisce è un sound dinamico fatto di chitarre dissonanti, linee di batteria fuori dal coro e melodie difficili da dimenticare. Nel presentarsi amano citare band come Mission of Burma, Wipers e tutto ciò che è Dischord Records come influenze dirette, alla quale aggiungerei, per rafforzare il concetto, molte delle band uscite dalla Touch & Go Records di Chicago. Un suono all’apparenza poco “australiano” ma che in verità viene impreziosito dall’amore per il rock’n’roll che è tipico dei musicisti della terra di Oz.
Nonostante i loro singoli e il primo album omonimo siano stati stampati in poche copie, il nome dei Chimers ha iniziato a circolare velocemente superando ben presto i confini dell’Australia, ed annoverando nelle schiere dei fan gente del calibro di Henry Rollins, Guy Picciotto dei Fugazi, Gerard Cosloy della 12XU Records, mentre i Mudhoney li hanno scelti per aprire alcuni concerti del loro ultimo tour australiano, così come hanno fatti i mitici The Saints che in queste settimane son in pieno tour come “The Saints ’73-’78” portando come band di supporto proprio il duo di Wollongong.
Per il loro secondo album i Chimers sono stati messi sotto contratto dalla Poisin City che pubblica il disco in Australia, e dalla 12XU che lo distribuirà negli USA, mettendo da parte l’autoproduzione affidandosi alle cure di Jono Boulet (Party Dozen) che lo ha registrato in due giorni agli Stranded Studios di Wollongong e mixato nello studio di casa a Sydney, mentre il disco è co-prodotto dalla band e dal veterano manager/promoter/produttore Tim Pittman (Feel Presents).
Nell’arruolare Boulet, la band era sicura che, grazie alla sua esperienza come metà dei Party Dozen, avevano a disposizione qualcuno che comprendeva i limiti del lavoro all’interno della struttura di un gruppo di due elementi, ma anche le possibilità che questo crea. Una scelta ponderata per come spiegato da Padraic Skehan: “Il nostro debutto era più che altro un tentativo di catturare le canzoni che avevamo in quel momento, non eravamo sicuri di pubblicarlo o se sarebbe stato il nostro unico album”.
“Questa volta eravamo intenzionati a catturare l’energia e l’intensità del nostro spettacolo dal vivo nella registrazione, – ha proseguito Skehan – ma con un suono più prodotto rispetto al self-titled. Abbiamo lavorato di più sulla struttura delle canzoni prima delle sessioni. Abbiamo fatto molte prove suonando in silenzio, in modo da poter parlare tra di noi mentre suonavamo le canzoni e limare le eventuali storture”.
Through Today presenta così, dieci brani di un’intensità serrata che richiama l’urgenza dei Fugazi, la dissonanza dei Sonic Youth, la melodia dei My Bloody Valentine, il furore di band come Shellac e The Jesus Lizard.
Il disco si apre con “3AM” un brano solare che parla di ricordi felici dei tempi dell’inizio della relazione tra Padraic e Blinx, e quando nel finale del brano si aggiunge la parte cantata dalla Blinx, il testo traccia una riflessione sulla “mancanza di sonno e di quanto velocemente il tempo possa sfuggirti a livello macroscopico, ma non quando sei sveglio alle tre del mattino e tutto ciò che vuoi fare è dormire”. Il Tutto eseguito con il tipico assalto sonoro del duo che pone le basi di quanto di andrà ad ascoltare in seguito. “Timber” ha un pregevole suono della chitarra in chiaro stile Touch & Go mentre la batteria sorregge instancabilmente il ritmo, mentre si parla delle insidie di quando ci si trova nel posto giusto al momento sbagliato.
“People Listen (To The Radio)” parte in sordina quasi a sorpresa per rivelare ben presto quella che è la vera essenza sonora del duo dove dissonanze e melodie si fondono in un tutt’uno estremamente organico, mentre il testo parla dell’attuale clima politico che offre abbastanza drammi da alimentare un incendio nella foresta, invitando all’auto emarginazione per salvarsi o quantomeno restare fedeli alle proprie idee. Ad arricchire il brano interviene figurano la sassofonista Kirsty Tickle – anch’essa dei Party Dozen – che immette robuste note dissonanti che richiamano il lavoro di Steve Mackay con gli Stooges o, per restare in Australia, quello di Tim Fagan sul capolavoro dei Died Pretty, Free Dirt.
In “Everything’s Green” la tensione emotiva viene leggermente smorzata mentre il testo parla di situazioni che vanno inevitabilmente a concludersi dopo essere andate a rotoli. Dei singoli che sono stati pubblicati tra l’album di debutto e questo, viene ripreso solo “Generator” sprigiona una sorta di dolcezza, i suoi suoni massicci di chitarra sbandano in direzioni intonate mentre i riempimenti di batteria esplodono come petardi. Il testo struggente e dissolvente del brano, sorretto da un tono di chitarra incandescente, è forse quello che più di ogni alto può avvicinare i Chimers agli Hüsker Dü.
Per restare in tema echi dell’ultimo Bob Mould solista li possiamo trovare nel brano “Gossip” mentre la successiva “Shadow Boxing” è meno nervosa di altre canzoni e nel testo c’è un invito esplicito a non chiudersi in se stessi e trovare qualcuno di cui fidarsi a cui fare ascoltare i propri pensieri.
Il trittico finale di “Trough Today” è aperto da un altro dei brani cardine del disco. “Glossary” una cavalcata di stampo Fugazi: Parla dei rapporti all’interno di una famiglia quando una persona è intenzionata a provocare il caos all’interno di quella struttura. L’eredità che lascia e, man mano che quella persona invecchia, le possibilità di risolvere il problema svaniscono insieme a lei.
A questo segue il brano più atipico del disco: “An Echo” sembra un brano post-rock lento e avvolgente nella parte iniziale, prima che emergano echi dei Dirty Three richiamati dalle parti eseguite dal violinista Jordan Ireland dei The Middle East. Il brevissimo testo cantato da Blinx viene così spiegato nella nota stampa che accompagna l’album: “: il modo in cui qualcosa che viene detto può avere un impatto sul vostro mondo o sul modo in cui vi attraverso la vita. Un promemoria per essere buoni con i nostri figli”.
“Common” chiude l’album con una nota di pessimismo: “It’s all wasted/Write it on the walls It’s all wasted/Just like television Not like television” mentre il brano avanza senza volutamente mai decollare come fatto in precedenza per lasciare nell’ascoltatore la voglia di far ripartire il disco.
“Through Today” è un grande album, con una struttura molto ben articolata che che dall’inizio alla fine si dipana in maniera netta senza mai indugiare alla tentazione di arricchirlo di inutili orpelli. Alle volte bastano due soli strumenti per scrivere del grande rock’n’roll.
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Pubblicato la prima volta per Freak Out Magazine il 13 dicembre 2024
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