Algiers – Shook (Matador Records)
Scritto per Freakout Magazine e pubblicato il 10/3/2023
In quest’epoca in cui la musica troppo spesso è utilizzata come un sottofondo che accompagni il trascorrere del tempo piuttosto che scandirne e determinarne il senso dello stesso, affrontare un album complesso e carico di suoni e parole dal forte significato politico com’è questo quarto album degli Algiers, può risultare duro da cogliere nella sua essenza, quanto difficile da assimilare se ci si lascia fuorviare dalla lunga tracklist composta da ben 17 brani per quasi un’ora di rock totale. Si perché “Shook” è un disco che cristallizza quello che il rock dei giorni nostri dovrebbe essere: una sintesi di tutto quello che questo genere musicale ha raccontato sino ad oggi, ogni qualvolta è stato capace di legare i linguaggi della black music delle origini, riletta con gli occhi e le sensibilità dei giovani bianchi, per poi essere riportata alle origini con la sensibilità dei ragazzi neri che hanno saputo riconquistare la scena con i suoni e le rime del rap.
Questo è quello che fanno con efficacia gli Algiers sin dagli esordi: prendere sessant’anni di black music e rileggerli attraverso suoni che attingono al post-punk, al rock ribelle degli anni ’60, al soul classico, al gospel, al rap, al noise sperimentale. Per farlo al meglio mai come in questo caso, il gruppo di Atlanta ha chiamato a raccolta una serie nutrita di ospiti che hanno trasformato la band in un collettivo molto più coeso di quanto non lascino pensare i singoli featuring di Big Rube (The Dungeon Family), Zack de la Rocha (Rage Against The Machine), Billy Woods, Backxwash, Mark Cisneros (The Make-Up), Samuel T. Herring (Future Islands), Jae Matthews (Boy Harsher), LaToya Kent (Mourning [A] BLKstar), Nadah El Shazly, DeForrest Brown Jr. (Speaker Music), Patrick Shiroishi e Lee Bains III.
Il leader degli Algiers Franklin J. Fisher ha presentato questo album dicendo che tutto ruota intorno alla loro città natale: “Mi piace l’idea che questo disco vi porti in un viaggio che inizia e finisce ad Atlanta”. E proprio nel brano d’apertura “Everybody Shatter” vengono riportate le atrocità inflitte ai neri: Gli omicidi dei bambini di Atlanta del 1981, l’attentato al MOVE del 1985. A ogni nuovo, desolante momento storico, Fisher borbotta su come tutto ciò continui a succedere. È così che gli Algiers interpretano il linguaggio della resistenza storica e si inseriscono nella tradizione artistica di protesta. Lo fanno con un album carico di sofferenza ed oppressione, un disco cupo e per nulla accattivante, ma allo stesso tempo ricco di fascino.
In uno dei brani di punta dell’album “Bite Back” che vede protagonisti Billy Woods e Backxwash, due dei rapper underground più vitali e stimolanti di oggi, mettono in chiaro le rime dure che parlano dei mali dell’America, di ieri come di oggi.
Woods: “La dopamina dolce e saccarina si riversa sugli schermi/ Gli spari lontani crepitano/ L’intera cosa si sta rompendo“.
Backxwash: “Questi fascisti non mascherano le loro facce, fanno solo quello che fanno/ I telegiornali dicevano che ero pazzo, finché puff, succede anche a te“.
Tutto “Shook” è un invito alla resistenza, a non lasciarsi fagocitare dalla visione del mondo che i potenti riservano alla massa di oppressi, da quelli che la vivono in maniera inconsapevole a quelli che ne portano sulla pelle i segni più brutali.
Dal punto strettamente musicale l’album stratifica l’hip hop in molteplici forme: dagli spoken-words (“Out of Style Tragedy” e “As It Resounds”), al rap militante condito di cori gospel e soul (Bite Black), dal noise (73%) dal r’n’b (“I Can’t Stand It”), passando dal rock barricadero (“Irreversible Damage”) al furore garage punk (A Good Man). Si potrebbe obiettare che con tutta questa carne messa a fuoco il rischio di non riuscire a centrare l’obiettivo sia dietro l’angolo, ma la verità è che “Shook” risulta sempre più omogeneo man mano che gli ascolti si ripetono e si entra in sintonia con un’opera che resisterà all’usura del tempo.
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